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E' stato diffuso da pochi giorni il Rapporto Globale sui Salari 2014-2015, pubblicazione periodica dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL-ILO), quest'anno dal titolo “Salari e disuguaglianze di reddito” (Global Wage Report 2014/15. Wages and income inequality).
Secondo il Rapporto, la crescita globale dei salari ha subito un ulteriore rallentamento nel 2013 rispetto al 2012, passando dal 2,2 al 2,0 per cento, ed è ancora lontana dai livelli pre-crisi, che si attestavano intorno al 3,0 per cento. Per quanto modesta, la crescita dei salari globali è stata quasi interamente trainata dalle economie emergenti nel G20, dove si è registrato un aumento del 6,7 per cento nel 2012 e del 5,9 per cento nel 2013. Invece, nelle economie sviluppate, la crescita media dei salari ha fluttuato intorno all’1 per cento l’anno a partire dal 2006 ed è poi diminuita nel 2012 e nel 2013, con un aumento rispettivo dello 0,1 per cento e dello 0,2 per cento.
«Negli ultimi due anni, nel gruppo delle economie sviluppate, la crescita dei salari è rallentata fino a toccare quasi il punto zero e, in alcuni paesi si è registrato addirittura un declino», ha dichiarato Sandra Polaski, Vice Direttore Generale dell’ILO, responsabile dell'attuazione delle Politiche dell'organizzazione internazionale. «Tutto questo ha influito pesantemente sulla performance dell’economia globale, portando ad una riduzione della domanda da parte delle famiglie nella maggior parte delle economie e ad un aumento del rischio deflazione nell’Eurozona», ha aggiunto. Il Rapporto si divide in tre parti: la prima analizza l'evoluzione dei salari reali su base globale; la seconda esamina il rapporto tra retribuzioni e disuguaglianze di reddito familiare, guardando alle disparità salariali all'interno di certi gruppi come tra donne e uomini, immigrati e cittadini, lavoratori dell'economia formale e informale; la terza prospetta le possibili risposte politiche da offrire.
Kristen Sobeck, economista all’ILO e co-autore del rapporto fa notare che: «Negli ultimi dieci anni si è osservata una lenta convergenza dei salari medi dei paesi emergenti e in via di sviluppo con quelli delle economie sviluppate, benché i salari in queste ultime rimangano in media circa tre volte superiori rispetto al gruppo delle economie emergenti e in via di sviluppo». Fra le economie in via di sviluppo, il rapporto segnala importanti differenze tra regioni. Ad esempio, nel 2013, i salari sono cresciuti del 6 per cento in Asia e del 5,8 per cento in Europa dell’Est e in Asia centrale, ma solo dello 0,8 per cento in America Latina e nei Caraibi. Benché i dati siano ancora incompleti, in Medio Oriente, i salari sembrano essere aumentati del 3,9 per cento, mentre in Africa solo dello 0,9 per cento.
La produttività del lavoro — cioè il valore dei beni e dei servizi prodotti per persona impiegata — continua a crescere più in fretta rispetto ai salari nelle economie sviluppate, anche negli anni più recenti. Si tratta del proseguimento di una tendenza di lungo termine, interrotta solo durante la crisi finanziaria nel 2008 e nel 2009. Questo divario crescente tra salari e produttività si è tradotto in un declino della quota di PIL destinata al lavoro, mentre aumenta quella che va al capitale, specie nelle economie sviluppate. Questo vuol dire che i lavoratori e le loro famiglie ricevono la parte più piccola della crescita economica, mentre chi detiene il capitale ottiene maggiori benefici.
Il Rapporto contiene anche un’analisi dettagliata delle tendenze più recenti in materia di disuguaglianze di reddito delle famiglie e del peso ricoperto dai salari. I salari sono la principale fonte di reddito delle famiglie nei paesi sviluppati, emergenti e in via di sviluppo, ma lo sono soprattutto per le classi medie, mentre il 10 per cento più povero e il 10 per cento più ricco dei nuclei familiari dipendono in varia misura anche da altre fonti di reddito. Nelle economie sviluppate, i salari rappresentato spesso tra il 70 e l’80 per cento del reddito delle famiglie con almeno un componente in età lavorativa. Nelle economie emergenti e in via di sviluppo, dove è più diffuso il lavoro autonomo, la quota dei salari nel reddito delle famiglie è generalmente inferiore e varia dal 50-60 per cento in Messico, nella Federazione Russa, in Argentina, in Brasile e in Cile, a circa il 40 per cento in Perù o al 30 per cento in Vietnam.
«In molti paesi, le disuguaglianze iniziano nel mercato del lavoro e dipendono in taluni casi dalla distribuzione dei salari e dell’occupazione», ha spiegato Rosalia Vazquez-Alvarez, economista e specialista ILO per le questioni salariali, e co-autrice del rapporto. Le recenti tendenze in materia di disuguaglianze non sono omogenee ma, nella maggior parte dei paesi in cui sono aumentate, come negli Stati Uniti o in Spagna, la causa principale sta nelle variazioni salariali e nell’occupazione. Al contrario, in paesi in cui si è registrata una riduzione delle disuguaglianze come in Brasile, in Argentina e nella Federazione Russa, i salari e l’aumento dell’occupazione sono stati i principali fattori di riduzione delle disuguaglianze. Il Rapporto dimostra che le donne, i migranti e i lavoratori dell’economia informale sono penalizzati sul piano salariale e questo non si può spiegare con caratteristiche osservabili, come il livello di studio o l’esperienza, che dovrebbero normalmente giustificare le differenze di salario tra individui. Questo divario salariale tra diverse categorie di lavoratori contribuisce anche alle disuguaglianze in generale.
«La stagnazione dei salari va affrontata come una questione di equità e di crescita economica», ha sottolineato la Polaski. «Poiché le disuguaglianze in generale sono determinate in maniera significativa dalle disparità salariali, la questione va affrontata attraverso le politiche del mercato del lavoro». «Anche i meccanismi di ridistribuzione fiscale, come la tassazione e le politiche di protezione sociale, sono parte della soluzione», ha aggiunto, «ma non possono da soli portare tutto il peso della lotta contro le disuguaglianze. Una strategia globale dovrebbe comprendere politiche per il salario minimo, il rafforzamento della contrattazione collettiva, l’eliminazione delle discriminazioni nei confronti dei gruppi più vulnerabili, come pure politiche fiscali progressive e sistemi di protezione sociale efficaci».
«Occorre anche un maggiore sostegno alle imprese nell’economia reale, specie le piccole e medie, per permettere loro di crescere e di creare posti di lavoro. Molti paesi possono fare di più per favorire l’accesso di queste imprese al credito e semplificare le procedure per la creazione di imprese», ha concluso. Secondo il Rapporto, sono necessarie anche strategie coordinate a livello internazionale. Se molti paesi cercano di aumentare le esportazioni riducendo i salari o le prestazioni sociali, questo può ancora portare ad una grave contrazione della produzione e degli scambi commerciali.
*Dipartimento Politiche Globali Cgil