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Una serie di mobilitazioni territoriali, poi uno sciopero regionale unitario, entro la fine dell’anno, per dire a gran voce, ancora una volta, che la Sardegna ha bisogno di risposte immediate e di soluzioni strutturali per rilanciare il sistema produttivo al collasso. È il percorso stabilito da Cgil, Cisl e Uil confederali con l’obiettivo di portare a sintesi unitaria tutte le vertenze territoriali.
Le proteste del Sulcis Iglesiente, Alcoa e Carbosulcis in primo piano, il cui destino rischia però di travolgere l’intero tessuto economico provinciale, sono l’inizio di una mobilitazione che coinvolgerà ogni parte dell’Isola nei prossimi mesi. In crisi ci sono l’area industriale del Sassarese e del Nuorese e interi comparti in affanno: il settore agricolo e suinicolo, l’edilizia così come il turismo. L’obiettivo dei sindacati è quello di rafforzare le iniziative già avviate e di rilanciare l’intera vertenza Sardegna, sia verso il governo nazionale e l’Unione europea, sia verso la Regione.
“L’evidente peggioramento di tutti gli indicatori economici e sociali – hanno scritto in un documento unitario i segretari generali Cgil, Cisl e Uil Enzo Costa, Mario Medde e Francesca Ticca – spinge a non ritenere possibile la rapida uscita dal presente stato di crisi, a maggior ragione senza l’avvio a soluzione dei nodi strutturali che impediscono il rilancio dei settori produttivi”. Ecco le rivendicazioni dei confederali in sette punti: una strategia di politica industriale che preveda un nuovo e adeguato piano energetico regionale; il recupero del divario infrastrutturale, materiale e immateriale; l’urgente revisione del patto di stabilità che consenta l’immediata disponibilità di risorse per gli investimenti e la spesa pubblica; il riconoscimento dello svantaggio dell’insularità, con l’attuazione di una reale continuità territoriale esterna e interna alla Sardegna; la definizione della vertenza sulle entrate e l’affermazione dell’articolo 8 dello statuto speciale per una vera autonomia regionale; il varo e l’attuazione di un valido piano per il lavoro, soprattutto per i giovani e per il reimpiego dei disoccupati; un riordino del welfare regionale, per migliorare complessivamente i servizi e il sistema di sicurezza sociale dell’Isola e per contrastare l’abbandono delle aree più disagiate.
Cgil Cisl Uil considerano insufficiente la risposta che il governo nazionale sta mettendo in campo per la Sardegna. “È evidente – precisano nel documento – che questo dipende anche da un’ormai palese inadeguatezza della giunta regionale ad affrontare e a rappresentare la gravità e la complessità dei problemi della regione e, soprattutto, ad avanzare efficaci azioni e credibili proposte di soluzione”.
Politica industriale. Il punto di partenza deve essere la difesa e il rilancio dei presìdi industriali storici, che passa anche attraverso attività di bonifica e riconversione delle aree già dismesse. Il progetto chimica verde è un esempio da seguire, ma non sono accettabili ulteriori ritardi nella realizzazione. Occorre però fare di più e le mobilitazioni in atto, nel Sulcis Iglesiente, a Porto Torres, così come a Ottana, dimostrano che i governi regionale e nazionale si sono limitati, per adesso, a registrare la volontà di chiudere le fabbriche da parte di multinazionali come Alcoa, Rusal, Rockwool, Vinyls (solo per citarne alcune), senza una reale volontà di risolvere le vertenze attraverso soluzioni strutturali dei nodi storici che caratterizzano la Sardegna, il tema dei costi energetici innanzitutto.
Energia. Per la Sardegna è il primo e più importante nodo infrastrutturale da risolvere, sia per riconfermare l’attuale apparato produttivo, sia per implementarlo e diffonderlo. Nonostante ciò la Regione non ha ancora aggiornato il piano energetico. Il rispetto dei tempi per la metanizzazione è una condizione essenziale per qualunque diversa ipotesi di sviluppo. Così come l’utilizzo di una materia prima strategica come il carbone, che deve essere confermato attraverso il progetto combinato centrale-miniera, con lo sviluppo della ricerca per lo stoccaggio e la “cattura” del Co2. Anche le energie rinnovabili, eolica, fotovoltaica e utilizzo delle biomasse, dovranno avere un’importanza strategica nel futuro dell’Isola.
Sistema agro-alimentare, aree rurali e ambiente. L’agricoltura sarda, con un solo miliardo circa di euro di fatturato, copre a stento il 4 per cento del Pil isolano, anche se intorno al comparto ruotano più o meno 100 mila persone e 17 mila aziende, ciascuna con pochissimi addetti (salvo rare eccezioni), e 34 mila coltivatori diretti. Sono dati questi che dovrebbero spingere gli agricoltori a selezionare solo certe produzioni e a concentrarsi su quelle “difendibili” sul mercato per la loro specificità e per la loro alta qualità. Un nuovo modello di sviluppo non può prescindere dal rilancio del comparto agricolo e dal potenziamento di tutte le attività connesse alla ruralità. Il tema è strettamente connesso alla difesa dell’ambiente e del paesaggio. Il disegno di legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo presentato di recente del ministro all’Agricoltura Mario Catania è un punto di riferimento fondamentale per la Sardegna. L’obiettivo è quello di rilanciare l’attività agricola e di tutelare il paesaggio, l’ambiente e le aree rurali, promuovendo la ristrutturazione dell’esistente. Se la Regione decidesse di intraprendere questa direzione, ripartendo dalle nostre risorse naturali, forse riusciremmo a uscire dalla crisi più in fretta e con una prospettiva di sviluppo a lungo termine. Il problema è che la maggioranza che governa è impegnata in una pericolosissima revisione del Piano paesaggistico regionale che va in una direzione opposta.
Vertenza entrate e Patto di stabilità. La modifica dell’articolo 8 dello statuto regionale ha ridefinito, già dal 2007, il peso delle compartecipazioni dello Stato alle entrate regionali. Un aggiornamento che avrebbe dovuto portare nelle casse regionali circa un miliardo e 600 milioni per gli anni 2010 e 2011 ma che il governo nazionale non ha ancora trasferito interamente. Un atteggiamento inaccettabile che la Cgil ha denunciato più volte, sottolineando però che la Regione deve chiedere con forza la revisione del Patto di stabilità perché se non verranno cambiati i limiti di spesa, definiti su quella del 2005, sarà sostanzialmente inutile avere le risorse in bilancio. La revisione del Patto di stabilità è urgente per consentire l’immediata disponibilità di risorse per investimenti e spesa pubblica.
Autonomia e specificità. La battaglia per il riconoscimento dell’insularità. A otto anni dalla modifica del Titolo V della Costituzione non è più pensabile rimandare la revisione dello statuto speciale della regione autonoma Sardegna, alla quale si dovrà procedere attraverso una nuova stagione costituente, che veda il massimo coinvolgimento del popolo sardo e favorisca la massima partecipazione possibile della società civile, delle forze sociali e imprenditoriali. L’autonomia in questo mutato quadro va quindi ripensata e la specialità ridefinita. Per la Cgil quest’ultima deve imperniarsi sul riconoscimento della condizione di insularità, cioè su una condizione di oggettivo svantaggio che fa gravare sul sistema sardo pesanti differenziali negativi non superabili con nessuna infrastruttura materiale. In questo quadro si inserisce anche il tema della continuità territoriale delle persone e delle merci, un fattore determinante per lo sviluppo, che però è fortemente a rischio, come dimostra il caso Tirrenia (e il proliferare dei costi delle tariffe marittime) così come l’incertezza del rinnovo, tramite gara internazionale, delle convenzioni con le compagnie aeree che garantiscono il servizio.
Occorre che siano previste nello statuto speciale misure di compensazione tese a pareggiare le condizioni competitive della Sardegna con le economie continentali, con particolare riferimento alla questione dei trasporti, della dotazione di infrastrutture (il deficit regionale è di circa la metà della media nazionale) e del sistema energetico. Si tratta di questioni che devono essere affrontate nell’ambito del confronto con Stato e Unione europea.