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L’economia della Sardegna è al collasso e la crisi in atto ha messo in luce tanti anni di malgoverno. Per troppo tempo sono stati ignorati i problemi sollevati dal mondo del lavoro e dalle imprese. Abbiamo perso la voce nel dire che questioni irrisolte come il costo dell’energia, le infrastrutture mai realizzate, la continuità territoriale, il costo del denaro, i tagli all’istruzione e alla cultura, un welfare sociale gestito solo in termini di spesa, una pubblica amministrazione eccessivamente burocratica avrebbero messo in ginocchio il sistema fino a ucciderlo. Se a questi nodi aggiungiamo un’incapacità politica manifesta nel saper governare questi difficilissimi processi, sia in campo regionale che nazionale, il risultato che otteniamo è sotto gli occhi di tutti.
Sono saltati gli equilibri dell’economia sociale di mercato; sembra una contraddizione di termini ma per almeno quindici anni è stata la rivoluzione, tentata su scala sovranazionale, di trasformazione del capitalismo. Un processo che ha cercato di scaricare le disuguaglianze sociali, vecchie e nuove, sul mondo del lavoro e sulle pensioni, e ci ha regalato un governo tecnico nazionale che a furia di praticare politiche di contenimento della spesa pubblica si è dimenticato che per uscire dalla crisi serve accompagnare il taglio agli sprechi, e non il semplice aumento generalizzato delle tasse, con vere politiche di sostegno alla crescita. E l’unica crescita possibile la si ottiene rilanciando i consumi e quindi proteggendo i redditi delle famiglie, non saccheggiandoli, e investendo sui giovani.
Contemporaneamente noi, perché la responsabilità in questo caso è tutta nostra, ci siamo regalati, facendocelo imporre dall’alto, un governo regionale che non riesce a dialogare neanche all’interno della propria maggioranza, figuriamoci se può portarci fuori da questa situazione.
E non è una valutazione fatta sulle singole persone, ma sul processo costitutivo di questa maggioranza che sta generando la paralisi, che non riesce a stare insieme e che quindi non è in grado di essere maggioranza, facendo così perdere autorevolezza e rappresentanza all’intera Sardegna, vanificando gli sforzi che da più parti si tenta di mettere in campo. Così nascono i sentimenti dell’antipolitica che mettono in pericolo l’intero apparato democratico facendo crescere momenti qualunquistici che tendono ad essere sintetizzati con frasi del tipo: “Sono tutti uguali” o “Tanto non cambierà mai niente”. Purtroppo, in un clima come questo è vero che non potrà nascere mai niente di buono, e se continuiamo così, non riusciremo neanche a distinguere le responsabilità.
La crisi globale insiste da cinque anni e il suo epicentro si è spostato in Europa. La ripresa non c’è e la natura strutturale della crisi richiede di agire sulle cause all’origine, non solo sulle conseguenze, come è stato fatto sinora. Occorrono nuovi lineamenti di politica economica regionale e sovranazionale per uscire dalla crisi finanziaria, economica e occupazionale in cui versa l’Italia e, con essa, la nostra regione.
Per questo occorre una nuova governance economica regionale. In questo contesto il sistema Sardegna può invertire il processo, ritrovare la sua crescita e aumentare l’occupazione. Oggi il lavoro non viene considerato una risorsa strategica e un bene in sé, ma un fattore marginale della produzione. Occorre invece ripartire dal lavoro per uscire dalla crisi.
Con queste motivazioni le organizzazioni sindacali da anni chiedono con forza – e in questo senso abbiamo già fatto quattro scioperi generali e adesso c’è una nuova mobilitazione in vista anticipata da una serie di iniziative territoriali – un piano straordinario per il lavoro e per lo sviluppo in grado di fondare la nuova crescita proprio sulla creazione di buona e sicura occupazione, soprattutto di quella giovanile e femminile, superando la logica della svalutazione competitiva sui costi della produzione e, in particolare, del lavoro. In linea con gli obiettivi europei di sviluppo, di innovazione, di sostenibilità
e di coesione sociale.
Le direttrici di questa governance economica sono: il recupero delle risorse che lo Stato continua a negarci; l’allargamento del patto di stabilità; gli investimenti pubblici (con un piano di creazione diretta del lavoro) per i beni comuni, l’ambiente e il welfare; il sostegno pubblico agli investimenti privati legati alla domanda sociale e nei settori strategici dell’economia, partendo dai bisogni effettivi dei cittadini e dunque anche dalla regolazione amministrativa del territorio; una riforma istituzionale interna che, attraverso il principio della sussidiarietà, decentri verso i territori competenze e risorse favorendo la creazione di aggregazione degli enti locali comunali; il potenziamento del sistema dell’istruzione e della ricerca.
Una riflessione la merita anche la necessaria rivisitazione della nostra autonomia: la consultazione referendaria ci ha dato qualche indicazione chiedendo l’avvio di un’assemblea costituente che dia vita a un nuovo statuto e a un nuovo patto con lo Stato. La Costituente del popolo sardo può rappresentare una risposta efficace al degrado della politica e delle istituzioni e può contribuire a ristabilire un rapporto tra istituzioni e cittadini, avviando un nuovo patto costituzionale che indichi i contenuti e le modalità per un più efficace autogoverno della Sardegna e per una reale autonomia finanziaria della Regione in grado di promuovere lavoro e sviluppo.
*Segretario generale della Cgil Sardegna