Una mobilitazione sindacale di denuncia e di protesta contro le scelte economice del governo Monti. L’hanno indetta Cgil, Cisl e Uil della Sardegna, che puntano il dito contro la strategia di “un esecutivo nazionale che, tagliando e negando le risorse dovute e necessarie per gli investimenti e imponendo pesanti sacrifici alle classi popolari, penalizzano la nostra isola in modo insostenibile”. Nel mirino delle sigle confederali regionali anche “l’inadeguatezza dell’attività politica del governo regionale, che si mostra sempre più spesso ridotto a una poco autorevole arena di scontro di interessi tra le forze politiche e persino tra singole personalità della stessa maggioranza che lo esprimono e, soprattutto, che risulta privo di una coerente strategia e di un comprensibile progetto da realizzare”.

“La spinta propulsiva della giunta regionale sulle politiche per lo sviluppo – proseguono Cgil, Cisl e Uil sarde – sembra esaurirsi nell’inseguimento delle continue emergenze occupazionali derivanti da crisi aziendali o territoriali, affrontate singolarmente, al di fuori di una definita cornice programmatica; mentre soltanto dopo la caduta del governo Berlusconi, la giunta regionale, dimentica della supina acquiescenza mostrata fino al giorno prima, sembra aver riacquistato un profilo rivendicazionista verso lo Stato centrale sul tema delle maggiori entrate fiscali spettanti alla Sardegna e dell’allentamento del patto di stabilità interna, al quale ora sembra potersi imputare ogni colpa e responsabilità per il malgoverno inflitto ai sardi”.

Una cattiva gestione della cosa pubblica che contribuisce pesantemente a rendere più crudi gli effetti di una crisi già devastante e che mina la coesione territoriale e sociale del paese. “Stiamo vivendo una fase di recessione che scuote le fondamenta della società e della struttura economica della Sardegna – aggiungono i sindacati confederali isolani –, com’è dimostrato non solo dall’assenza di qualsiasi vera azione riformatrice, ma anche dalle inadempienze e dai ritardi nell’espletamento delle normali attività amministrative, spesso ingolfate da dubbi o difetti procedurali, quando non da veri e propri pasticci decisionali, che gettano nell’incertezza per il proprio futuro interi comparti e servizi della regione e degli enti regionali e le centinaia di dipendenti che vi operano, stabilmente o ancora da precari”.

Per queste ragioni i sindacati sardi hanno messo in campo una serie di mobilitazioni che coinvolgono ampi settori della rappresentanza sociale: dalla manifestazione regionale dei pensionati e anziani del prossimo 7 giugno a Cagliari, a conclusione di iniziative che hanno attraversato tutti i territori dell’isola, alle ripetute proteste dei dipendenti della pubblica amministrazione e della scuola contro il precariato cronico, per il ristabilimento degli organici e il rispetto dei diritti calpestati dei lavoratori e degli utenti dei servizi, dai lavoratori forestali, che manifestano da mesi e sciopereranno a luglio per il rispetto dei contratti e la stabilizzazione del lavoro, fino ai territori più deboli, come l’Ogliastra, dove si terrà il prossimo 9 giugno una manifestazione generale per lo sviluppo.

Cgil, Cisl e Uil della Sardegna denunciano questo stato di cose e chiedono con la protesta le soluzioni e i cambiamenti urgenti e necessari, annunciando due ulteriori iniziative, distinte e complementari: un convegno-dibattito, previsto per la metà di giugno, sul tema del complesso modello istituzionale che va ridefinito, un momento di pubblica riflessione e discussione sul tema delle riforme istituzionali e della necessità di un processo ampiamente partecipato nella riscrittura della stessa carta fondamentale dell’autonomia regionale; una manifestazione popolare a fine mese, per due giorni consecutivi, “per restituire centralità ai temi più veri e sentiti dalla nostra gente: il lavoro, quello che manca e quello che c’è, ma rischia di scomparire, la precarietà e la difficoltà a tirare avanti degli individui e delle famiglie, l’inadeguatezza delle forme e misure di assistenza e di inclusione sociale, la desertificazione industriale e l’abbandono del territorio”.