In Sicilia la salute mentale non può essere affrontata da un sistema sanitario con gravi carenze di organico e che conta solo 7 posti letto ogni 10 mila abitanti. Il sistema squilibrato punta tutto sugli ospedali e poco o niente su una rete diffusa e diurna del territorio in grado di sostenere le famiglie dei pazienti. Chi paga il prezzo più alto di questa grave carenza? Di certo gli utenti e le loro famiglie.

Per la Fp Cgil e la Cgil Sicilia è dunque necessario che il modello attuale venga cambiato. Per questo il sindacato ha dedicato una giornata di confronto e di studio tenutasi il 5 aprile nella Camera del lavoro di Catania; l’obiettivo è quello di elaborare una piattaforma regionale congiunta, e dunque una proposta di discussione per migliorare “il modello di organizzazione dell'assistenza in salute mentale  che oggi in Sicilia è in contrasto con i Lea, i livelli essenziali di assistenza, con l'accordo Stato-Regione sui percorsi di cura della grave patologia mentale, con il Piano di azione nazionale salute  mentale ed il Piano strategico salute mentale Sicilia”. 

Ai lavori di oggi erano presenti anche il segretario nazionale della Cgil Medici, Andrea Filippi, il segretario di Fp Cgil Sicilia, Gaetano Agliozzo, la segretaria della Cgil Sicilia, Mimma Argurio, il segretario regionale della Fp Cgil Medici, Renato Costa, il segretario generale della Camera del Lavoro, Giacomo Rota, la segretaria confederale Rosaria Leonardi, il segretario della Fp Cgil di Catania, Salvatore Cubito, e il responsabile aziendale per l Asp di Catania della Cgil di medici, Fiorentino Trojano.

Al termine dei lavori è stata elaborata una prima proposta condivisa anche con le centrali cooperative  Legacoop, Confcooperative e Ucg, e le associazioni dei familiari degli utenti in ambito psichiatrico,  che chiede alle istituzioni “l’attivazione dei posti letto previsti e la revisione dei  parametri per i Servizi psichiatrici di diagnosi e cura (Spdc), destinando alla psichiatria ad alta densità 12 posti letto e lo spostamento del relativo personale sul territorio; l’immediato intervento sulle dotazioni organiche e il reinvestimento di risorse per terapisti della riabilitazione, assistenti sociale e psicologi,  ma anche l’obbligo di istituire nel budget delle aziende il capitolo specifico per interventi riabilitativi (budget di salute)  da destinare agli interventi alternativi al ricovero). Infine, l’ attivazione delle strutture nelle aree carenti in ambito della neuropsichiatria infantile, il ritardo mentale, l’autismo, l’alcolismo, le doppie diagnosi e i disturbi della sfera alimentare; la previsione di un piano che individui strutture ad alta-media e bassa protezione sia in ambito sanitario che sociosanitario; l’attivazione di un modello unico di accreditamento tra strutture sanitarie e sociosanitarie superando il differente modello attualmente esistente”.

Il segretario nazionale Andrea Filippi, parla di “risorse spese male e che per lo più attualmente vengono destinate per potenziare i servizi privati convenzionati. C’è dunque un certo smarrimento nell’organizzazione della Salute mentale che invece dovrebbe avere la centralità sui territori e sulla “presa in carico” dei pazienti per renderli più autonomi”. 

Ed ecco perché la soluzione non potrà che arrivare da una riformulazione dei piani esistenti: “La risposta non può arrivare dagli ospedali ma dal territorio”, insiste Costa. Per Agliozzo, “solo una nuova piattaforma comune ci permetterà di aiutare e riunire tutti i soggetti del pianeta salute mentale, e cioè gli utenti e i familiari degli ammalati. Crediamo nella possibilità di unire le forze dell’assessorato alla Famiglia e alla Sanità che in questi anni hanno lavorato senza essere in sintonia”. 

Rmdn