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Alla Saclà di Asti non si scherza: non c’è crisi, ma si licenzia lo stesso, soprattutto se sindacalisti, in particolare quelli che hanno il coraggio di denunciare infortuni e malattie professionali. L’accusa è della Cgil di Asti e riguarda il licenziamento di tre dipendenti per “giustificati motivi oggettivi”, ma “di oggettivo c’è solo che sono stati vittime negli anni di incidenti sul lavoro riconosciuti dall’Inail”. Non solo: un altro elemento comune è che i tre lavoratori sono iscritti alla Cgil e, tra questi, c’è anche un rappresentante alla sicurezza, con un’anzianità in azienda di 23 anni, a cui – tra le altre cose – è stata riconosciuta la malattia professionale.
Il sindacato li definisce licenziamenti “della vergogna”. E ne ha tutti i motivi. La nota azienda conserviera – 80 anni di storia industriale nella città piemontese – non è in crisi: “Anzi, per sua stessa ammissione – denuncia Paolo Capra, segretario della Flai Cgil di Asti – sbandiera di essere impegnata in una fase di investimenti; non ha chiesto cassa integrazione in tutti questi anni di crisi, ma continua a ricorrere al lavoro straordinario e negli incontri sindacali non ha mai fatto un cenno a possibili esuberi, che invece sono spuntati imputando la decisione all’accorpamento di due linee produttive”.
Un po’ strano, a giudizio del sindacato, che chiede sulla vicenda un Consiglio comunale aperto, tanto più che proprio un anno fa, due giorni prima di Natale, la Saclà – che ad Asti dà lavoro a 195 persone – aveva licenziato altri quattro dipendenti, anche loro iscritti alla Cgil, addetti alla manutenzione degli impianti, motivando la scelta con la decisione di affidare tale attività a una ditta esterna. A distanza di un anno, la dirigenza aziendale recita lo stesso copione, quasi come volesse mandare un altro avvertimento ai lavoratori.
Tra i tre licenziati c’è anche una donna che ha subito un infortunio nel 2013, per il quale l’Inail ha riconosciuto anche il danno biologico (quindi, una conseguenza sulla salute abbastanza grave, superiore al 6% di invalidità), che si è risolto con una transazione extragiudiziale, con l’azienda che ha accettato di pagarle un indennizzo. Più complicato il caso di Perluigi Bione, 23 anni alla Saclà, rappresentante alla sicurezza fino al 2016, che nel 2009, soffrendo di patologie muscoloscheletriche legate alla mansione cui è addetto, decide di informarne l’azienda, così come prevede la normativa. Nel 2010, Pierluigi subisce anche un intervento chirurgico alla “cuffia dei rotatori” (la spalla). Ciononostante, la Saclà nega la correlazione causale con il lavoro. Per questa ragione, Pierluigi decide di fare causa. Dopo anni di battaglia legale, con il contributo dei medici legali dell’Inca, il tribunale gli dà ragione.
La Saclà è costretta allora a investire in manutenzione e, soprattutto, a cambiare le cosiddette geometrie delle postazioni di lavoro con l’ausilio di macchinari più moderni, tipo sollevatori, carrelli, pantografi, nuovi nastri trasportatori. “Tutte prescrizioni – spiega Bione – che sono la conseguenza delle ispezioni del Servizio ispettivo della Asl. Grazie a questi interventi, dal 2011 iniziano a diminuire le assenze per infortunio”.
Le cose, a partire dal 2011, cominciano dunque a cambiare. La caparbietà di Bione, come Rsu e in qualità di Rls, raggiunge i primi risultati. Migliorano le condizioni di lavoro e sugli orari si giunge alla programmazione del lavoro settimanale, pur salvaguardando le esigenze dell’azienda. Ma evidentemente è solo una tregua. A gennaio 2015, in occasione della visita medica per cambio mansione, Bione viene riconosciuto idoneo alla mansione nel reparto in cui verrà spostato.
Nonostante l’intervento chirurgico, per l’azienda Bione è tornato idoneo a svolgere mansioni che comportano carichi manuali, sotto i tre chili e movimenti ripetitivi, a cui prima era risparmiato. “Improvvisamente resuscitato”, è il suo commento. “Poi a marzo il confino, con il trasferimento in un piccolo reparto – spiega lui – per impedirmi di continuare ad avere contatti con il resto dei lavoratori. E, guarda caso, proprio in quello dove sarebbe dovuta avvenire a breve la riorganizzazione tecnica della produzione, con il conseguente licenziamento”.
Per la Cgil di Asti, nella vicenda di oggi ci sono tanti elementi che suggeriscono più di qualche analogia con i quattro licenziamenti ritorsivi dello scorso anno. “Questo atteggiamento è l’espressione di un’impresa certamente non illuminata – accusa Giovanni Prezioso, segretario della Cgil di Asti –, che non crede nelle relazioni industriali, né tantomeno a un confronto apertto con il sindacato, nonostante l’atteggiamento dei delegati e dei lavoratori sia stato sempre ispirato al corretto rispetto dei ruoli. Però, di fronte al perdurare di alcune condizioni si è andati al confronto più serrato; ed è questo che ha dato fastidio”. “Noi – continua Prezioso – non intendiamo recedere: ci sarà la difesa legale di questi lavoratori e chiediamo alla politica e alle istituzioni locali una presa di posizione chiara, perché un atteggiamento di questo tipo da parte di un’azienda che pretende di incarnare l’astigianità in Italia e nel mondo, non è accettabile”.