PHOTO
Il modello sociale europeo è stato alterato dalle politiche di austerità esercitate durante la crisi, ed è messo in discussione a causa dei divari interni all’Europa. Le strategie di contenimento dei costi – della spesa pubblica per il welfare (pur con considerevoli differenze tra i Paesi) – hanno prodotto esclusione sociale a danno di milioni di cittadini. Mentre il lavoro a bassi salari, e sempre più precario, si diffonde, in specie nei servizi alla persona.
Di questo scenario europeo, e di quali politiche si possano agire per i diritti sociali e per un diverso modello di crescita e coesione, si occupa la sezione Tema del n. 3/17 de La Rivista delle Politiche Sociali (Rps), curata da Andrea Ciarini e da Laura Pennacchi, che aprono il volume con un’importante nota introduttiva.
I contributi degli autori affrontano i principali argomenti che caratterizzano il dibattito odierno sullo stato dell’Europa sociale, e ne indicano le prospettive. Vengono offerti sguardi diversi, riferiti sia alle criticità interne dei Paesi che alle riforme e alle innovazioni compiute, o ancora in corso, per costruire un diverso modello di sviluppo e di crescita rispetto a quello segnato dalla crisi.
Le analisi proposte e la tesi sostenuta, pur con opinioni differenti, è quella che il social investment possa offrire una via d’uscita sociale alla crisi, fermando il declino del welfare, e anzi rilanciandone, ben oltre una funzione meramente risarcitoria, il ruolo di motore per la crescita e l’occupazione, trasformando i costi in veri e propri investimenti economici.
E proprio sul Welfare state come investimento sociale (Siws nell’acronimo inglese) si concentra il primo contributo, di Colin Crouch. Che intende dimostrare come selettive politiche sociali, in particolare in tre aree di intervento – istruzione, politiche attive del mercato del lavoro, conciliazione e politiche per la famiglia –, possano sostenere la competitività nei mercati globali, migliorando le capacità e le competenze professionali dei lavoratori e aumentando la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro. Tuttavia, l’autore mette in guardia sulle possibili disuguaglianze prodotte da una certa strategia di Siws (tra chi ne può beneficiare perché già in condizioni di vantaggio sociale e chi ne è escluso).
Il lavoro nei servizi alla persona è affrontato nel saggio di Valeria Pulignano, che descrive come il settore sia in costante crescita occupazionale, ma come sempre più critiche siano le condizioni di lavoro e retributive, oltre allo stesso ruolo del sindacato. Sempre di lavoro, nel suo rapporto con le innovazioni digitali e nelle conseguenze per il Social investment approach, si occupa il contributo di Maria Concetta Ambra e Fabrizio Pirro, che descrivono l’impatto dei cambiamenti tecnologici in corso e le conseguenze anche sulla struttura socio-economica e sui sistemi di welfare.
A seguire, il n. 3/2017 affronta alcune questioni emblematiche delle politiche di welfare in Europa: la non autosufficienza, nel caso italiano, focalizzando in particolare l’attenzione sull’indennità di accompagnamento (nel contributo di Marco Arlotti, Andrea Parma e Costanzo Ranci), il reddito minimo o di cittadinanza in Europa (nei contributi di Marcello Natili, di Bea Cantillon e Sarah Marchal), e quali investimenti sociali per lo sviluppo nei due contributi di Francesco Saraceno (“Regole di bilancio e investimento pubblico: per una politica industriale europea”) e di Edoardo Reviglio (“Un piano europeo di investimenti per le infrastrutture sociali”).
I due autori si concentrano su una possibile strategia di rilancio della spesa per investimenti sociali, capace di produrre effetti a lungo termine e a sostegno della stessa Agenda sociale europea. Conclude la sezione Tema l’intervento di Fausto Durante, responsabile area politiche europee e internazionali della Cgil, che rilancia la sfida per ricostruire il modello sociale europeo (“Smembrato e indebolito dagli attacchi della cultura e delle politiche neoliberiste negli ultimi venticinque anni”): la migliore risposta che le classi dirigenti degli Stati membri dell’Unione e delle istituzioni europee a Bruxelles possono mettere in campo per rilanciare il progetto dell’integrazione, il sogno della realizzazione di uno spazio politico, economico e sociale comune per l’insieme del continente.
In questa direzione, pur non nascondendo le difficoltà e i ritardi, si muovono le organizzazioni del lavoro, in Italia e in tutta Europa. Per questo la Cgil, con la Confederazione europea dei sindacati (Ces) e con i sindacati nazionali ad essa affiliati, ha contribuito a costruire il nuovo Pilastro europeo dei diritti sociali, che oggi rappresenta una concreta opportunità per sostenere un progetto europeo capace di generare coesione sociale e costruire un comune spazio di diritti, di contrattazione collettiva, di protezione sociale, di inclusione. L’Europa, conclude Durante, ha futuro se è un’Europa sociale.
L’Attualità si occupa di politiche fiscali e welfare, in particolare della necessità di mettere a punto un sistema tributario che garantisca il finanziamento dello Stato sociale e, nel contempo, consenta di ridurre le forti disuguaglianze esistenti. La sezione ospita gli interventi di Franco Gallo (“Quali riforme fiscali per accompagnare la ripresa?”) e Gilberto Turati (“Spunti di riflessione su imposte, spesa e futuro del welfare”).
La sezione Dibattito, si occupa del volume “Ripensare il capitalismo” (Laterza 2017) di Mariana Mazzucato e Michael Jacobs, nel quale la crisi del neoliberismo è considerata, paradossalmente, come un’occasione per “salvare” il capitalismo, instaurando un’economia socialmente ed ecologicamente “sostenibile” e meno diseguale. Una tesi che nei due articoli di Riccardo Bellofiore e Giovanna Vertova, e Francesco Garibaldo, non si dà affatto per scontata.
Chiude il volume l’intervento di Elisa Lello dal titolo “I giovani sono populisti?”, il terzo dei quattro saggi che nella programmazione Rps 2017 sono dedicati al tema “Populismi e questione sociale”.
Stefano Cecconi è direttore de La Rivista delle Politiche Sociali