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Sta per arenarsi sugli scogli la scialuppa di salvataggio che avrebbe dovuto portare in salvo i cento lavoratori della ex Rockwool di Iglesias. La fabbrica nata con i finanziamenti della legge di riconversione mineraria, produceva in località Sa Stoia (Zona industriale di interesse regionale) manufatti di lana di roccia per la coibentazione civile e industriale. Un prodotto che l’azienda danese, leader del mercato mondiale dei coibenti, continua a produrre in uno stabilimento avviato in Slovenia.
Per i lavoratori dello stabilimento di Iglesias dopo la cassa integrazione e la mobilità, nel 2014 è arrivata la sistemazione nei cantieri dei Lavori socialmente utili, affidati a una società nata per dar vita alle bonifiche dei territori all’interno del Parco geominerario della Sardegna e che negli ultimi anni ha operato per conto di alcune amministrazioni comunali e di numerosi enti pubblici. Alcuni giorni fa, ai primi di ottobre, la doccia fredda: “La Regione sarda ha tagliato i fondi che finanziavano questi lavori di assistenza”, è stato comunicato ai rappresentanti della Rsu e alle segreterie di categoria del sindacato, “l’azienda avvierà entro un breve periodo le pratiche per i licenziamenti collettivi”.
Una pessima notizia, arrivata proprio quando le acque stavano tornando a calmarsi. Quella di Rockwool è una vicenda decisamente travagliata. L’azienda (in origine denominata Lana di Roccia) nasce nel 1998 da un progetto avviato dall’Ente minerario sardo per ricollocare le maestranze di alcune miniere di barite: personale specializzato che, in alcuni casi, visto il pericolo di chiusura dei cantieri, aveva scelto volontariamente di rinunciare al lavoro in miniera, consentendo il travaso dell’incentivo – che l’ente assegnava agli operai che decidevano di chiudere il rapporto di lavoro – direttamente alla nuova iniziativa.
Dopo alcuni anni passati a testare la bontà dell’impresa e a sperperare denaro pubblico, nel 2002 arrivarono gli azionisti privati, che utilizzando il loro know how cambiarono il volto allo stabilimento. Il personale, inquadrato nell’ambito del contratto chimico coibenti, passò al ciclo continuo e la fabbrica cominciò a sfornare coppelle e pannelli di tutte le dimensioni. I manufatti venivano trasportati fino al porto di Olbia con grossi Tir e imbarcati per i mercati europei. Anche chi aveva previsto il tracollo in pochi anni, dovette ricredersi. Per qualche tempo la produzione toccò livelli altissimi, Rockwool – quotata in borsa – volava. Poi però, dopo i dinieghi degli enti pubblici alle richieste di rivedere alcune infrastrutture necessarie per rendere maggiormente redditizia l’impresa (l’azienda chiedeva di poter veicolare il prodotto con i carri ferroviari: i binari delle Fs passavano a trenta metri dallo stabilimento), arrivò – nel 2011 – la decisione di chiudere i cancelli e fermare le produzioni.
I lavoratori intrapresero una dura lotta, durata più di tre anni, con un’occupazione del ponte sulla statale che portava alla miniera dell’odierna Igea. Chiedevano di poter usufruire delle clausole di garanzia previste dagli accordi siglati dai sindacati per il passaggio alla nuova iniziativa, così recitava l’accordo firmato dai rappresentanti dei lavoratori chimici (Fulc). Ma il polso fermo della Regione Sardegna, la contrarietà di alcune forze politiche, gli interessi personali di alcuni faccendieri del luogo, fecero cadere nel nulla la protesta. L’allora giunta regionale di centro-destra propose un accordo per salvare la situazione, traghettando le cento buste paga verso i Lavori socialmente utili, all’interno di Ati Ifras.
Qualcuno finì a curare il verde pubblico, altri la manutenzione delle strade, un gruppo numeroso ancora oggi si occupa di assistenza agli scavi in un’importante area archeologica. Per il lavoro non si sono mai tirati indietro. Da minatori e poi chimici specializzati divennero, pur di uscire dal tunnel della disoccupazione, lavoratori dei servizi. È di questi giorni la notizia che ha cancellato di colpo ogni speranza di poter ritornare a essere lavoratori normali. All’orizzonte ritorna lo spettro dei licenziamenti. Paradossalmente, si dice in giro che gli interessi che hanno fatto uscire di scena i danesi della Rockwool coincidano con quelli che oggi stanno facendo naufragare il sistema dei Lavori socialmente utili. Quando si dice la trasversalità della politica. I lavoratori lo sanno bene e tenteranno di far valere gli accordi di salvaguardia firmati dal sindacato.