PHOTO
Nel panorama europeo il Pil italiano è diminuito di più degli altri paesi a seguito dei due shock recessivi del 2009 e del 2012. Non solo: nel 2016 si situa ancora sotto (-7 per cento) il livello registrato prima della crisi. A dirlo è la ricerca “Lavoro e capitale negli anni della crisi: l’Italia nel contesto europeo”, realizzata dalla Fondazione Di Vittorio e curata da Giuliano Ferrucci. Questo rapporto, il secondo sul tema, prende in esame gli stessi indicatori economici già illustrati nel primo, aggiornandone l’andamento al 2016, con proiezioni fino al 2018, in Italia e in alcuni dei principali Paesi europei.
Il confronto con gli altri Paesi è impietoso: in Spagna, ad esempio, Paese che pure ha sofferto una contrazione simile all’Italia, il prodotto del 2016 è di nuovo prossimo al valore del 2007. Va ancora peggio se ci paragoniamo a Francia e Germania: i tedeschi hanno risposto alla prima recessione senza ridurre l’occupazione, mentre i francesi hanno contenuto la perdita in poco più di un punto percentuale. In entrambi i Paesi, infine, già nel 2010 sono ripartiti gli investimenti in capitale fisso, la produttività del lavoro è cresciuta, è stato possibile sostenere le retribuzioni e alimentare, per questa via, la domanda interna, eludendo nei fatti i contraccolpi del secondo shock recessivo che si è manifestato nella seconda metà del 2011.
E l’Italia? Qui la crisi è stata più lunga a causa delle misure di austerità che hanno penalizzato la domanda interna, determinando un generale arretramento della nostra economia, il cui peso all’interno dell’eurozona tende a ridursi progressivamente. La ripresa in atto è accompagnata peraltro dalla stagnazione dei salari e non si vedono, al di là dei risultati transitori di incentivi occasionali, gli effetti di stabilizzazione promessi dalla riforma del lavoro.
La ricerca della Fondazione Di Vittorio pone la propria attenzione analitica su alcuni elementi. La produttività, ad esempio. In Italia il suo andamento, sia della produttività totale dei fattori (-4,9 per cento rispetto al 2007) sia della produttività reale oraria del lavoro (-0,3 per cento rispetto al 2007), è stato molto deludente. E questo certamente non per colpa, come molti sostengono, del livello troppo alto delle retribuzioni. La dinamica salariale nel periodo 2007-2016, infatti, è la più debole tra quelle dei Paesi presi in esame: nel 2016 la retribuzione reale per dipendente è ancora sotto il valore del 2007, e circa cinque punti percentuali più bassa di quella stimata in Spagna a parità di potere d’acquisto.
La grande questione italiana, spiega il report della Fondazione Di Vittorio, sono gli “investimenti”. A dimostrarlo sono i punti di ritardo dell’Italia, in termini di variazione del capitale fisso, dalla ‘zona euro’ (-17,6 punti percentuali tra il 2007 e il 2016) e dalla Germania in particolare (-35,2 punti). Un enorme ritardo dovuto sia all’incapacità dei governi di porre in essere una politica economica finalmente espansiva sia alla resistenza di settori delle imprese a puntare su ricerca, innovazione, miglioramenti nella conoscenza e nell’efficienza dei processi produttivi, invece che sul contenimento del costo del lavoro. E anche dal futuro, conclude lo studio, non dobbiamo aspettarci molto: le proiezioni per il 2018, infatti, non lasciano sperare in una riduzione apprezzabile del ritardo dell’Italia rispetto alla media europea, nemmeno in fase di debole crescita.