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Mercoledì 20 aprile, a Roma, presso il Palazzo Massimo alle Terme, Largo di Villa Peretti 1, dalle ore 10 alle ore 14, si tiene l’Assemblea nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori con disabilità sulla ‘Carta dei diritti universali del lavoro’. I lavori dell’assemblea saranno aperti dalla responsabile delle politiche per le disabilità della Cgil, Nina Daita, e conclusi dal segretario generale Susanna Camusso. Diretta su RadioArticolo1.
Disoccupazione e precarietà rendono maledettamente più difficile per una persona con disabilità l'inclusione lavorativa, per non parlare della conseguenza grave di una politica a favore delle aziende che va a scapito delle risorse destinate allo stato sociale, scuola, sanità, pensioni, assistenza, sviluppo di pari opportunità per le categorie svantaggiate, o per i più poveri. Oggi quel corpo normativo, così faticosamente realizzato, invece di essere adeguatamente rafforzato e messo in pratica, viene attaccato, stravolto, privato di efficacia, da una classe politica che, col suo comportamento, dimostra che si sta tornando a una visione della società nella quale le persone svantaggiate sono considerate non dei cittadini da includere (come dettato dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità e dalla nostra nobile Costituzione, ma anche da tante altre, purtroppo vuote, dichiarazioni di intenti dei nostri giorni), ma considerate semplici fonti di fastidio da escludere, replicando così una visione deleteria della società che speravamo di non dover mai più tornare a vedere.
Lo dimostra il Jobs Act o, meglio, il suo decreto attuativo che vuole regolamentare il diritto al lavoro delle persone disabili andando a modificare profondamente il dettato della legge 68 del 1999. Quella norma prevedeva, per la parte preponderante del mondo datoriale, per le aziende private e quelle pubbliche economiche, la possibilità di ricorrere sia alla chiamata nominativa sia a quella numerica, attraverso il canale del collocamento obbligatorio, con un’adeguata ripartizione (ad esempio, per aziende con oltre 50 dipendenti, alla chiamata nominativa spetta il 60% del totale e il 40% a quella numerica). Il Jobs Act ha ritenuto opportuno cancellare l’alternativa della chiamata numerica e rendere esclusiva quella nominativa. In altre parole, prevede che i datori di lavoro possano scegliere i disabili da collocare nelle proprie aziende, come nel caporalato, quando nelle nostre piazze di buon mattino il caporale sceglie i più vigorosi tra gli aspiranti lavoratori, emarginando i più deboli.
Così facendo si fa sparire la funzione sociale dell’inclusione lavorativa, escludendo di fatto le disabilità più complesse e più gravi. Rendere esclusiva la chiamata nominativa equivale, infatti, a delegare completamente al mondo datoriale la scelta integrale dei lavoratori disabili da assumere nell'ottemperanza delle quote di legge. E il mondo datoriale, anche al di là di ogni incentivo previsto, chi altri potrebbe includere, avendone la libera possibilità, se non quelle persone che presentino le disabilità più facili da gestire e presenti nelle forme meno gravi? Contro questa impostazione normativa, un coordinamento di associazioni e di cittadini ha sottoscritto e presentato un ricorso alla Commissione europea, con il dichiarato intento di ottenere una ulteriore condanna dello Stato italiano, dopo quella pronunciata due anni fa dalla Commissione, per inadeguata applicazione degli accordi e degli impegni internazionali in materia di diritto al lavoro delle persone disabili.
Tutto ciò trova legittimazione nella Carta dei diritti della Cgil che all'art.15 parla del diritto a soluzioni ragionevoli in caso di disabilità oppure di malattia di lunga durata. “Tutti i lavoratori che, a causa di una disabilità o di una malattia di lunga durata, diagnosticata come curabile o incurabile, subiscano, in relazione all’esercizio della loro attività, una limitazione, risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche, che, in interazione con barriere di diversa natura, possa ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori, hanno diritto a soluzioni ragionevoli, materiali e organizzative, compresa la modifica degli orari e, più in generale, dei tempi di lavoro, necessarie a consentire l’accesso al lavoro e lo svolgimento della prestazione lavorativa”.
Tradotto in lingua corrente, qualora la Carta dei diritti divenisse legge, il datore di lavoro che non applica coscientemente l'articolo suddetto incorrerà nella discriminazione della persona disabile e dunque, non sarà più soggetto solo a sanzioni pecuniarie. La Carta dei diritti universali del lavoro rappresenta dignità, libertà e democrazia. Faticosamente svegliamo le nostre coscienze, e come si diceva una volta, marciamo verso la libertà e l'emancipazione delle persone con disabilità. La forza dei deboli ha sempre prevalso sulla sicumera dei forti, e questa non è una speranza, ma una certezza.
Nina Daita è responsabile nazionale Cgil delle politiche per le disabilità