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Dal 2015 a oggi la Filctem Cgil, insieme ai sindacati di categoria di Cisl e Uil, ha sottoscritto 22 contratti nazionali di lavoro nel settore chimico, energetico, tessile e dell'artigianato. I rinnovi hanno coinvolto oltre un milione e mezzo di lavoratori. Al termine di questa fase, il sindacato di categoria ha voluto aprire una riflessione: è il senso del seminario della Filctem sulla riforma della contrattazione, che si svolge oggi (giovedì 26 ottobre) a Roma, alle ore 10 presso il NH Hotel Vittorio Veneto (corso d'Italia 1).
Un appuntamento, quello dei chimici, che si inserisce nell'attuale discussione di Cgil, Cisl e Uil per la costruzione di un nuovo modello contrattuale. All'interno del seminario, la Filctem indica alcune linee guida, attraverso un documento in 8 capitoli. Il testo viene presentato nell'introduzione del segretario generale, Emilio Miceli. All'iniziativa partecipa il segretario confederale della Cgil, Franco Martini, e conclude il segretario generale Susanna Camusso.
Di seguito alcuni estratti del documento "Tra riforma e rinnovi" della Filctem (qui il testo integrale in pdf):
La stagione contrattuale. “Abbiamo sostanzialmente retto ma sappiamo che quello dell’orario e delle flessibilità nel lavoro saranno i temi centrali dei prossimi rinnovi. La pressione che subiamo su questi punti ci dice che ancora sopravvive una dinamica organizzativa lontana dalla filosofia di industria 4.0 e questo tema, cioè del rapporto tra orari, sviluppo tecnologico e produttività dovrà ancora acquisire un diverso quadro di coerenze".
Il sistema contrattuale deve essere riformato: “Attraverso un nuovo accordo interconfederale. Ciò è indispensabile se vogliamo sia evitare la giungla nelle metodiche del confronto sindacato/organizzazioni datoriali che una 'blindatura' della contrattazione dentro un sistema che agisca solo lì dove la rappresentanza è forte. Riforma del modello contrattuale e industria 4.0 sono i due temi centrali del dibattito delle relazioni industriali del nostro paese (...). Sarà necessario immaginare un nuovo orizzonte partecipativo nel quale, proprio quel lavoratore che verrebbe scalzato dal robot, mantiene per intero la sua capacità critica, di indirizzo e di governo di processi".
Il rapporto tra legge e contrattazione. "C’è una spinta potente ad una legificazione pesante delle materie contrattuali da parte dei governi, in Italia ed in Europa, tesa a dare una stretta sui diritti sociali. La sostanziale decontrattualizzazione del pubblico impiego ha dato il via a questo processo di semplificazione sempre più funzionale ad un modello politico-istituzionale sovranazionale e tecnocratico, ispirato ad una convergenza dell’insieme delle politiche comunitarie ed ai soli vincoli di bilancio (...). L’obiettivo di tutte le nostre controparti resta, come già detto, sempre quello di una contrattazione leggera, di 'cornice', a cui fare corrispondere un sindacato leggero. Limitare al massimo la contrattazione attraverso automatismi di ogni sorta, derubricare la funzione del contratto di lavoro, appiattire le retribuzioni sganciandole dalla contrattazione. (...) Può il Parlamento che ha votato il Jobs Act produrre una legge rispettosa della contrattazione collettiva?”
I contratti sono troppi. "Vanno ridotti di numero e tre anni di vigenza sono pochi perché interferiscono frequentemente con i contratti integrativi. Ma devono 'vivere' accanto alla gente, pena la loro marginalità agli occhi dei lavoratori. I lavoratori devono vedere nel contratto la loro vita lavorativa, apprezzare miglioramenti e sacrifici e non sentirsi sacrificati da più o meno nobili algoritmi. Il salario deve comprendere prestazione e professionalità, riflettere la merce che produce ed il suo valore aggiunto”.
Il nuovo modello contrattuale: “È necessaria una semplificazione ragionata che non faccia disperdere il ‘contatto’ tra lavoratore e contratto. Se analizziamo la Filctem pensiamo che il numero dei contratti possa ridursi a quelli indicati nell’acronimo: chimico/farma, tessile, energia e manifattura. Pmi ed artigianato per la loro peculiarità di diffusione e rappresentanza. Un rafforzamento del contratto di secondo livello, laddove insistono grandi gruppi multinazionali e Rsu, ed un sistema di compensazioni sensibili in caso di assenza di contrattazione integrativa”.
Il salario: “La via dell’utilizzo di macro-indicatori ci pare obbligata. In questo senso sarebbe utile indicare al contratto nazionale, attraverso la conferma dell’istituto del salario minimo di riferimento o del valore punto, un modello che ruoti attorno a quattro elementi: inflazione- ricchezza prodotta del paese- ricchezza prodotta nel settore- il rafforzamento dell’elemento sostitutivo in quota produttività laddove non si svolge la contrattazione di secondo livello. Ovviamente non assorbibile”.
Il welfare contrattuale: “Sarà necessaria una semplificazione dei fondi, dunque, ma anche la dovuta attenzione ad un processo di finanziarizzazione che può mettere a rischio la garanzia delle prestazioni erogate. I fondi previdenziali negoziali capitalizzano poco meno di 50 miliardi ed è legittimo aspettarsi un utilizzo dei fondi anche nell’economia reale a condizioni vantaggiose per gli iscritti. Quello che invece sarebbe sbagliato è l’utilizzo dei fondi previdenziali come un ammortizzatore sociale che compensi gli effetti della riforma".