L’accordo separato per la riforma del modello contrattuale, raggiunto lo scorso 22 gennaio da governo e parti sociali con l’eccezione della Cgil, trasforma il “contratto in pura esecuzione, sottraendo alle categorie, sindacali e imprenditoriali, ciò che ha sempre fatto del contratto quel luogo così importante”. E’ quanto afferma la segretaria confederale della Cgil, Susanna Camusso, in un’intervista al settimanale Rassegna Sindacale. Secondo la dirigente sindacale, la piattaforma unitaria presentata a suo tempo da Cgil-Cisl-Uil (sulla cui base negoziare con le associazioni datoriali la riforma del CCNL), “riprendeva l’impostazione del protocollo di luglio 1993 nel disegnare un modello universale per tutto il mondo del lavoro. Dal protocollo di luglio si passava cioè direttamente ai contratti che ne erano l’applicazione diretta. Nell’accordo del 22 gennaio – prosegue Camusso - questo non avviene. Esso contiene già due princìpi, con modalità diverse tra pubblico e privato, ma poi si rimanda a tante intese specifiche. Tra l’accordo generale e i contratti ci sono cioè degli accordi associativi tra le confederazioni e le varie associazioni di imprenditori, che danno vita così a sistemi contrattuali diversi nei vari settori. Dietro a questo non c’è l’idea di universalità che avanzavamo tutti nella piattaforma quanto quella di centralizzazione: questo spiega perché la titolarità a decidere le quantità del salario non sono in capo al contratto e quindi alle categorie, quanto al comitato interconfederale”.

Quanto all’obiettivo di aumentare le retribuzioni, per Camusso “l’accordo del 22 gennaio l’ha fallito clamorosamente, nel senso che non solo non redistribuisce ma non tutela il potere d’acquisto delle retribuzioni. Sono molteplici le ragioni che determinano l’abbassamento della copertura dei salari – spiega la segretaria -. La prima è aver deciso di depurare l’indicatore, su cui tutti avevamo convenuto, dal prezzo dei beni energetici importati. La seconda è nell’aver depurato anche il recupero del differenziale d’inflazione. C’è poi una perdita secca nel ‘valore punto’ sul quale si costruiscono gli aumenti contrattuali: nelle categorie pubbliche la perdita è già fissata ed è pari al 20-30 per cento, nel settore privato dipenderà dalle categorie, ma le intenzioni di Confindustria e Confcommercio sono già state esplicitate nelle singole intese. Insomma – conclude Camusso -, quella che si costruisce con l’intesa del 22 gennaio è una riduzione programmata del peso del contratto nazionale”.

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