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Il testo che segue – pubblicato qui per la prima volta – è frutto di una lunga conversazione che risale allo scorso gennaio, in piena campagna elettorale, tra Pierre Carniti ed Ilaria Romeo, responsabile dell’Archivio storico Cgil nazionale e Paolo Saija, responsabile dell’Archivio storico della Uil, all’interno di un ampio e articolato progetto sulla Federazione Cgil-Cisl-Uil seguito, tra gli altri, con il partenariato di importanti atenei universitari, dalla Fondazione Giacomo Brodolini e dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio
Partiamo da una curiosità. È vero che venne proposto da Giuliano Ferrara alla presidenza della Repubblica?
Quelle sono chiacchiere da bar. Mi mancava tutto, compreso il requisito della capacità di fare il responsabile del sistema politico istituzionale, l’uomo di movimento. Ho molto rispetto dei livelli istituzionali, ma non fanno per me, io non c’entro.
Il leader del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio ha dichiarato che il sindacato si deve riformare altrimenti lo riformeranno loro. Cosa ne pensa?
Quando dice questo, Di Maio parla a vanvera. Voi forse non lo ricordate qualche anno fa Grillo quando diceva che il ministro dell’Economia lo poteva fare la casalinga di Voghera. Era la conferma dell’idea di sublimare l’incompetenza, l’incapacità, e questa cosa è rimasta in parte nel loro dna. Adesso hanno integrato lo staff con persone esterne al Movimento, ma io sono sempre molto perplesso quando sento che bisogna rivolgersi alla società civile. Quando lo dicevano a chi aveva una responsabilità sindacale, rispondevo: siete mai stati a una riunione di condominio? Siete andati allo stadio la domenica? Ecco, quella è la società civile, il resto sono tutte chiacchiere.
Come giudica la campagna elettorale?
È improbabile. Sul terreno programmatico c’è una gara a chi la spara più grossa. Hanno parlato di cose di cui immagino, pur volendo accreditare la buona fede, non sappiano niente. Quando Berlusconi per esempio dice “porteremo le pensioni minime a 1.000 euro, le diamo alle casalinghe, alle mamme, ma purtroppo mia mamma è morta e quindi non potrà beneficiare di questo bonus”, dice una sciocchezza. Con le pensioni non c’entra niente. Si può discutere se è bene dare un reddito minimo alle persone anziane, sempre se ci sono i soldi; lo si può fare nel merito, ma ripeto, con le pensioni non c’entra. Sono meravigliato che tutto il sindacato non abbia posto e non ponga il problema della separazione degli interventi di welfare dalla gestione delle pensioni. Io penso che bisogna fare due enti: uno che gestisce le pensioni e uno che gestisce il welfare per chi ne ha bisogno.
E dell’abolizione dei vitalizi che ne pensa?
Trovo insopportabile la manfrina che si fa sui vitalizi e sul privilegio che viene riconosciuto a un numero ristretto di persone. Per me si possono anche togliere i vitalizi e lo stipendio dei parlamentari, ma poi è chiaro che in Parlamento ci andranno solo i ricchi o quelli che si lasciano corrompere. Sono 2.500 questi privilegiati in Italia, mentre le baby pensioni, sapete, sono milioni. Io ricordo quando sono state introdotte nel ’73, il governo era presieduto da Rumor. Lui mi spiegò – con un ragionamento che non ho capito allora e non ho capito neanche in seguito – che dopo quello che era successo in Cile bisognava fare questo intervento, in particolare per i dipendenti pubblici. In ogni caso il quesito è: si possono rivedere i trattamenti pregressi fatti in base alla legge? Io ho qualche dubbio anche di costituzionalità. Comunque, se si vuole affrontare il tema dei privilegi, non prendiamoci in giro: i vitalizi sono 2.500 e costano pochi milioni, mentre con le baby pensioni paghiamo miliardi.
Parliamo di lavoro. Quali interventi farebbe lei?
Quelli che stanno (stavano, ndr) al governo dicono che abbiamo recuperato l’occupazione pre-crisi del 2007. In realtà non è vero: mancano 1 miliardo e 150 mila ore di lavoro perché abbiamo molti più contratti precari. Se fossi ancora un sindacalista, e per la fortuna dei lavoratori non lo sono più, mi batterei per unificare il diritto del lavoro tra pubblici e privati. Vorrei conoscere una ragione, una soltanto, per la quale i pubblici conservano l’articolo 18 e i privati no. Poi possiamo toglierla ai pubblici, aggiungerla in tutto o in parte ai privati, ma il punto è che bisogna unificare. Seconda questione: non c’è abbastanza lavoro per tutti, per cui bisogna suddividere quello disponibile. C’è chi chiede le 28 ore settimanali, io invece sono per la riduzione annuale almeno nella fase transitoria. Noi abbiamo 1.800 ore annue in media, la Francia ne ha 1.500, la Germania 1.400. La mia proposta è ridurre l’orario di 200 ore l’anno: 100 per la formazione professionale continua e 100 per dare una mano anche in casa ai figli, ai nipoti, ai parenti che stanno male. Certo, c’è bisogno di aumentare gli investimenti e di far crescere il Pil, però ricordiamoci che siamo ormai immersi in una rivoluzione tecnologica che fa calare l’occupazione. Se poi nella pubblica amministrazione s’introducesse un po’ di efficienza, le cose andrebbero meglio. Ho sentito che nel Trentino hanno bisogno di 47 medici e non li trovano, mentre a Parma per un posto da infermiera si sono presentati in 5 mila. Poi ovviamente c’è la questione salariale: gli stipendi dei lavoratori italiani sono bassi, soprattutto per le donne. Di tutto questo bisognerebbe parlare, eppure sono cose che non ho trovato in nessun programma tra quelli presentati per le elezioni del 4 marzo. Bisognerebbe dare una sveglia anche al sindacato, che parla d’altro.
Può spiegarci meglio?
Oggi il sindacato ha meno potere contrattuale, e in parte è inevitabile perché è cambiato il mondo con la globalizzazione, la delocalizzazione delle aziende, l’innovazione tecnologica. Quindi, se aumentano le diseguaglianze bisogna suddividere meglio il reddito; se cresce la disoccupazione, bisogna ripartire meglio il lavoro disponibile. Io questa cosa banale e concreta non l’ho mai sentita. Hai presente cosa diceva Keynes ottantt’anni fa? Diceva che per vivere bene e per produrre tutto quello di cui la società ha bisogno, sarebbero bastate 15 ore di lavoro a settimana, ed era Keynes. Qui abbiamo la Cgil e i sindacati che si intimidiscono a formulare il tema della ripartizione del lavoro senza il quale noi per i prossimi anni continueremo a discutere solo di disoccupazione. Insomma, bisogna decidere se si vuole affrontare il problema oppure no.
Come vede il prossimo futuro?
Guardate, io sono un ottimista per natura. Credo che le cose possano cambiare anche in meglio, però vorrei vedere qualche segnale. Per adesso non c’è più neanche unità di azione sistematica. Ognuno guarda alla propria bottega e vuole caratterizzarsi sul piano dell’identità, pensando di sottrarre qualche iscritto alle altre organizzazioni sindacali o a quelli che non sono iscritti. Ma i tempi cambiano, bisogna adattarsi.