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Il 20 maggio 1999 Massimo D’Antona, giuslavorista e al tempo consigliere del ministero del Lavoro, fu ucciso in un agguato terroristico. "Come ogni anno - ricorda la Cgil in una nota - nel quindicesimo anniversario della sua tragica scomparsa, la sua figura di uomo, di studioso delle regole al servizio della democrazia e della coesione sociale, di eroe civile verrà ricordata, durante una commemorazione pubblica, alla presenza della cittadinanza e delle istituzioni". Alla commemorazione interverranno Serena Sorrentino (segretario confederale Cgil), Raffaele Cantone (presidente Autorità nazionale Anticorruzione), Guglielmo Epifani (presidente X Commissione della Camera dei Deputati) e Andrea Orlando (ministro della Giustizia).
«Mi chiedevo da che parte potesse venire quell'aggressione - rammenta la moglie di D'Antona intervistata da La Storia siamo noi -, perchè io non avevo idea. Sgomento si. Il senso di perdita era il sentimento prevalente. Ci tenevano sotto controllo da parecchi giorni. Era un intellettuale, un lavoratore, attraverso la consultazione delle parti sociali cui cercava soluzioni possibili, concrete, realizzabili...per questo lo hanno ucciso». Era un lottatore, un uomo di sinistra, stimatissimo dai suoi colleghi, convinto che la modernizzazione dello Stato e delle amministrazioni pubbliche non è un terreno di scontro politico. «Dopo anni d'indagini - ricostruisce sempre il programma Rai - l'8 luglio 2005 arriva il verdetto da parte della Corte d'Assise di Roma: ergastolo per Nadia Desdemona Lioce, Roberto Morandi e Marco Mezzasalma».
«Ricordare Massimo non è mai opera rituale. Non lo era allora, e non lo è oggi»: così Amos Andreoni ricordava D'Antona in un convegno dedicato al giuslavorista, nel decennale della sua morte. «Un tempo lungo - proseguiva Andreoni - che, al ricordo, ritorna improvvisamente come un tempo breve. Massimo (...) era una figura in continuo divenire e quel suo sorriso ironico ci ammonisce sulle virtù della cautela, necessaria ad affrontare la complessità del reale, e ponderare le ragioni di ogni ipotesi e del suo contrario, scontando la provvisorietà degli equilibri, ed affidando alla dimensione del tempo l’indispensabile convalida degli assetti. Ricordare Massimo è sempre un’opera complessa anche sotto il profilo del metodo della ricerca. Un metodo aperto alle riflessioni di economisti e sociologi, intese come linfa del ragionamento sistematico. Il confronto costituisce, di poi, un’opera complessa perchè il fluire del tempo (...) ripropone molti dei problemi con cui Massimo si era cimentato nelle sfide di fine secolo: la globalizzazione e la fine dello Stato nazione, la deconcentrazione della grande fabbrica, l’occupazione fluttuante, il pluralismo degli interessi e la difficile mediazione sindacale, la riforma della p.a. D’altro canto persistono i valori che hanno accompagnato Massimo nel suo sforzo ricostruttivo; per usare le Sue parole “un sistema di regole condivise e una cornice pubblica che assicuri la socializzazione di certi rischi sono elementi di stabilità per il sistema economico, favoriscono il controllo negoziale dei conflitti, normalizzano le condizioni di concorrenza e, dove la concertazione funziona, possono perfino coinvolgere le grandi organizzazioni sindacali nelle politiche dei redditi e contribuire ad una crescita senza inflazione”, (in Diritto del lavoro di fine secolo: una crisi d’identità? in RGL 1998).»
«Il 20 maggio è l'anniversario dello Statuto dei lavoratori (1970), una conquista di civiltà che segnò profondamente l'assetto dei rapporti sindacali e politici del nostro paese. Massimo si formò in quella stagione, ad una “duplice scuola”, quella universitaria del suo Maestro, Renato Scognamiglio, prestigiosa per stile e rigore, e quella della "Rivista giuridica del lavoro", allora impegnata in una rilettura costituzionale della normativa giuslavorista». Con queste parole la rivista Lpa ricordava D'Antona nell'anno stesso del suo assassinio. E proseguiva: «Vinse nel 1980 la cattedra di diritto del lavoro, con un'opera di altissimo livello, "La reintegrazione nel posto di lavoro", che resta un modello di ricerca e di analisi per i giuristi che hanno a cuore la "effettività" - parola a Lui cara - degli interventi legislativi in materia di lavoro. Nelle Università di Catania, di Napoli e, infine, di Roma, è stato da tutti stimato e apprezzato per il rigore del suo metodo e la problematica profondità del suo insegnamento».
«Lo ricordo per il suo contributo al sindacato: era un uomo di eccezionale dottrina e di eccezionale capacità di ascolto: fermo nelle sue idee, anche nelle più innovative; molte di esse hanno scosso un po’ di certezze, di tranquillità nel sindacato, ma aveva anche una grande capacità di ascolto per i problemi che queste idee evocavano». Così Andrea Ranieri, sulle stesse pagine di Lpa: «Ciò di cui lui parlava era la vita delle persone, di milioni di persone e non è un caso che nei suoi saggi anche nei più tecnici si senta circolare la vita, la vita degli uomini e delle donne che stanno dietro alla disciplina del licenziamento e del reintegro, degli uomini e delle donne di cui si parla quando si affrontano i temi del diritto di sciopero e della rappresentanza. Ha dato dei contributi eccezionali al sindacato. Ne ricordo qualcuno tra i più significativi - proseguiva Ranieri -: la sua attenzione alle problematiche del diritto del lavoro europeo. Lui indicò con molto anticipo al sindacato la necessità di confrontarsi con una dimensione europea del lavoro, di uscire dal provincialismo, di uscire dalla specificità di un caso italiano che poteva sembrare appagante ma che ormai entrava in contraddizione con la nuova Europa, e con l'idea fermissima di un'Europa che non poteva restare l'Europa delle monete, ma doveva diventare uno spazio sociale di cui il nuovo diritto del lavoro poteva essere una componente determinante».