Il 3 febbraio, presso il Centro Congressi Cavour di Roma, si tiene il convegno Cgil "Scuola e Lavoro: le chiavi del futuro". Nel corso dell'appuntamento, che apre un ampio percorso di confronto, approfondimento e partecipazione, verranno presentate le proposte della confederazione di corso d'Italia su un tema decisivo per il futuro del Paese e per l'occupazione dei giovani. Il programma dell'iniziativa prevede gli interventi del professor Tullio De Mauro, linguista, di Daniele Checchi, docente dell'Università Statale di Milano, del sottosegretario all'Istruzione Davide Faraone e del vicepresidente di Confindustria Ivanhoe Lo Bello. Per la Cgil partecipano il segretario confederale Gianna Fracassi, il segretario generale della Flc Domenico Pantaleo e il segretario generale Susanna Camusso.

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QUALITA' DEL LAVORO E CRESCITA ECONOMICA

Il ritardo accumulato dal nostro paese nell’affermazione del diritto all’apprendimento permanente e al riconoscimento delle competenze comunque acquisite è pari alle difficoltà della nostra economia a crescere puntando sulla conoscenza, l’innovazione e la qualità del lavoro. Recenti indagini di Isfol e Censis hanno evidenziato come le imprese italiane più innovative e competitive sono anche quelle in cui più si concentra l’attività formativa e che considerano la certificazione delle competenze professionali dei propri lavoratori come standard di qualità e vantaggio competitivo nei mercati internazionali. Questi dati italiani confermano la presenza di queste caratteristiche nei paesi europei la cui crescita è superiore alla nostra. Non dovrebbero quindi esserci dubbi sulle scelte di politica economica e industriale utili al paese: si devono sostenere e incentivare con coerenza gli obiettivi, tra loro connessi, dell’innovazione e della qualità del lavoro.

Una coerenza che, invece, manca alle politiche economiche e del lavoro che il governo intende adottare nella legge di stabilità e nella riforma del lavoro: non servono riduzioni fiscali a pioggia ma interventi selettivi per le imprese che investono per qualificare la produzione e il lavoro, non si persegue la qualità del lavoro se non si riconosce ai lavoratori dignità e libertà considerandoli licenziabili anche senza giusta causa. Il sostegno alla stabilità del lavoro e la promozione di una strategia di innalzamento e valorizzazione delle competenze dei lavoratori devono essere considerati parte integrante di politiche economiche e industriali finalizzate al riposizionamento qualitativo del sistema produttivo italiano. Oggi in Italia i livelli di istruzione e competenza (vedi anche la recente indagine Ocse-Piaac) della popolazione attiva, il tasso di adulti in formazione (6,2 per cento) e le attività di formazione continua promosse dalle imprese sono pesantemente sotto la media europea. Per una svolta nelle politiche di qualificazione del capitale umano occorre procedere con decisione nella costruzione del sistema nazionale integrato dell’apprendimento permanente previsto dalla legge 92/2012: reti territoriali dei servizi e sistema nazionale della certificazione delle competenze sono gli strumenti fondamentali per innalzare i livelli di competenza. In particolare il riconoscimento delle competenze acquisite attraverso le esperienze di apprendimento non formali e informali rappresenta un passo avanti decisivo per valorizzare il sapere sviluppato dalle persone che lavorano e costituisce una motivazione essenziale per continuare ad apprendere.

La diffusione dei processi di apprendimento permanente cresce, infatti, in modo direttamente proporzionale alla spendibilità delle competenze comunque acquisite: nei percorsi formativi come crediti per la personalizzazione dei percorsi, nei processi d’inserimento/reinserimento lavorativo, nel corso del rapporto di lavoro per avanzamenti retributivi e di carriera. La possibilità di individuare e riconoscere le competenze implica la costruzione di un quadro di riferimento comune (Repertorio nazionale dei titoli e delle qualificazioni) che condivida linguaggi e modalità descrittive delle qualificazioni in modo da garantire mutua leggibilità, correlabilità e interoperabilità tra i sistemi dell’istruzione, della formazione e del lavoro: una stessa competenza deve essere leggibile e spendibile in modo coerente nei diversi sistemi in cui è appresa e utilizzata.

SOSTENERE LE TRANSIZIONI
La relazione tra individuazione e validazione delle competenze e progettazione mirata dei percorsi formativi è, inoltre, essenziale per tutte le attività intenzionali di apprendimento adulto e, in particolare, nei momenti di maggiore debolezza, nei difficili e tormentati percorsi di inserimento lavorativo o quando si deve difendere la propria occupabilità negli ormai sempre più lunghi processi di invecchiamento attivo, nelle transizioni tra una funzione e un’altra o tra un lavoro e un altro, nelle riconversioni professionali e nei percorsi di reinserimento lavorativo. In questi momenti di difficoltà e debolezza della persona, oltre alla spendibilità finale delle competenze, anche i processi di riconoscimento svolgono una funzione rilevante di sostegno e rimotivazione. L’effetto di rafforzamento della persona avviene, infatti, già nel corso dei processi di individuazione e validazione degli apprendimenti conseguiti attraverso i quali il soggetto è accompagnato a individuare e a mettere in trasparenza, con il supporto di figure professionali, gli apprendimenti realizzati.

L’esplorazione dei propri saperi e il loro auto-riconoscimento producono sviluppo dell’autostima e consapevolezza delle proprie potenzialità e capacità. Una consapevolezza non facile da raggiungere, in particolare per i soggetti più deboli, anche a causa del pregiudizio radicato e diffuso che identifica il sapere utile e spendibile con gli apprendimenti conseguiti nelle istituzioni formali. Anche il percorso di ricostruzione delle proprie esperienze di apprendimento avvenute nei vari contesti e di individuazione della documentazione e dei riscontri che le evidenziano aiuta le persone a correlare le competenze possedute con le qualificazioni professionali presenti nei repertori e disponibili nel mercato del lavoro. È quindi evidente che già la sola costruzione di dossier individuali delle evidenze permette al soggetto di essere più consapevole delle risorse di cui dispone e di orientarsi verso successivi percorsi formativi finalizzati a colmare le lacune e/o verso più definite aree di attività lavorativa. Si sviluppa così e si rafforza la motivazione ad apprendere e a riprendere impegni formativi, grazie anche alla possibilità di personalizzare e abbreviare i percorsi e di finalizzarli in modo mirato all’apprendimento delle competenze utili alla realizzazione del proprio progetto di lavoro e di vita.

Questi sono temi essenziali che devono essere messi al centro di una riforma del lavoro che metta al centro le politiche attive a sostegno della persona nelle transizioni. Temi che, invece, latitano a favore di inutili diatribe tra favorevoli e contrari all’ormai da tempo inesistente posto fisso. Allo stesso modo non danno poi certo prova di coerenza le forze sociali e politiche che intendono abbassare diritti e tutele dei lavoratori nel posto di lavoro per crearne nuove nel mercato del lavoro. Sono, infatti, le stesse che si oppongono al carattere pubblico del sistema nazionale di certificazione, le cui garanzie di trasparenza e spendibilità delle competenze nel mercato del lavoro rappresentano una delle principali nuove tutele per i lavoratori. Le norme sulla certificazione pubblica delle competenze hanno scontato la decisa opposizione di consistenti settori politici di centro destra e di larga parte del mondo imprenditoriale – Confindustria ha addirittura chiesto lo stralcio di tutti i commi sull’apprendimento permanente contenuti nella legge 92/2012 – favorevoli, invece, a logiche privatistiche basate sulla bilateralità e sull’autocertificazione delle imprese. Questa soluzione avrebbe dato luogo a un sistema a “doppio valore” che avrebbe attribuito un riconoscimento più debole e delimitato alle competenze apprese in contesti non formali e informali, confermando a esse un diverso peso e una diversa dignità rispetto a quelle apprese in contesti formali. Il sistema pubblico di certificazione delle competenze, invece, garantisce controllo e trasparenza ai processi di individuazione e validazione e piena spendibilità per le competenze certificate.

PARTI SOCIALI E CONTRATTAZIONE PER L'APPRENDIMENTO PERMANENTE

La possibilità di mettere in trasparenza, rendere leggibili e spendibili le competenze comunque acquisite nei diversi contesti è anche alla base di un mercato del lavoro più efficiente ed efficace, capace di ridurre il mismatch di cui le imprese spesso lamentano la paradossale coesistenza con tassi esplosivi di disoccupazione giovanile. I timori del mondo imprenditoriale nei confronti della certificazione pubblica delle competenze sono soprattutto riferiti agli effetti contrattuali. Si enfatizzano ipotetici e impossibili automatismi tra certificazioni pubbliche delle competenze e inquadramenti quando i sottoinquadramenti dei laureati e dei diplomati sono una realtà diffusa, mentre rimangono in ombra le opportunità di una nuova contrattazione che valorizzi le competenze acquisite dai lavoratori in relazione a nuovi modelli di organizzazione del lavoro rispondenti alle esigenze dell’innovazione produttiva. Le parti sociali, inoltre, possono svolgere un ruolo determinante per analizzare e rielaborare le qualifiche contrattuali al fine di descriverle in modo più coerente con le nuove realtà lavorative e di adottare criteri e standard che le rendano correlabili e leggibili in relazione alle qualificazioni del Repertorio nazionale.Più in generale occorre un maggiore coinvolgimento delle parti sociali in tutto il processo in corso di costruzione del sistema nazionale dell’apprendimento permanente previsto dalla legge 92/2012.

La marginalità attuale delle parti sociali in tutti i processi decisionali nazionali – gli organismi nazionali previsti per l’attuazione della legge 92/2012 le escludono e prevedono solo periodici incontri – segna un obiettivo punto di debolezza. La partnership delle istituzioni pubbliche con le parti sociali è considerata un fattore chiave di successo di tutta la strategia europea di lifelong learning. Nel sistema duale tedesco, considerato diffusamente un modello di successo, le organizzazioni sindacali e quelle dei datori di lavoro partecipano alla definizione e all’aggiornamento delle qualificazioni professionali e svolgono un ruolo attivo in tutta la gestione dell’intero sistema. Il coinvolgimento delle parti sociali assicura le credenziali di affidabilità professionale della formazione realizzata e in questo modo sono assicurate la congruità professionale e il valore occupazionale delle qualificazioni professionali conseguite. Il ruolo delle parti sociali, in particolare delle organizzazioni sindacali e delle associazioni del terzo settore, sta inoltre rivelandosi determinante nel promuovere l’attuazione della legge 92/2012. Dopo l’intesa raggiunta in Conferenza unificata Stato Regioni il 20-12-2012, Regioni ed enti locali, cui appartengono le prerogative in materia, in un quadro di incertezze istituzionali e politiche, non hanno preso iniziative significative, né adeguato impulso è venuto dai ministeri interessati (Lavoro e Istruzione).

I sindacati confederali e il Forum del Terzo Settore hanno allora ottenuto un tavolo di confronto con la Conferenza delle Regioni. Ciò è servito a promuovere l’iniziativa della Conferenza che ha prodotto un documento, approvato il 10 luglio 2014 in sede Conferenza unificata Stato Regioni, sulle “Linee strategiche di intervento in ordine ai servizi per l’apprendimento permanente e all’organizzazione delle reti territoriali”. L’intesa, cui hanno contribuito anche le parti datoriali, segna un fondamentale passo avanti perché finalmente è disponibile per le Regioni un quadro di riferimento condiviso sulla base del quale avviare concretamente il processo di costruzione delle reti territoriali dei servizi dell’apprendimento permanente. Si tratta ora di promuovere in tutte le Regioni un’attenta ricognizione di tutti i soggetti e i servizi attivi sul territorio, di definire gli ambiti territoriali e di garantire in ogni ambito i servizi essenziali per l’apprendimento permanente (informazione, orientamento, certificazione delle competenze). Decisive per la riuscita delle Reti saranno le decisioni riguardanti le forme della governance, se sapranno coinvolgere i principali attori dei sistemi territoriali, a partire dalle parti sociali il cui ruolo è determinante nella programmazione dell’offerta formativa, nella sensibilizzazione alla partecipazione, nella definizione dei fabbisogni e dei profili.

* Coordinatore dipartimento Formazione e ricerca Cgil Nazionale