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La discussione tra Governo e sindacati, in particolare con la CGIL, sta diventando incandescente, scatenando un dibattito inenarrabile sui media intorno all’art. 18. Diciamolo una volta per tutte: il Jobs Act peggiora, senza risolverli, i problemi del mondo del lavoro, producendo ulteriore precariato. La libertà di licenziamento non aumenta l’occupazione ma è vero anche che porta di sicuro a un drastico depotenziamento della capacità di rivendicazione collettiva da parte di chi lavora. Un’altra ovvietà è che la precarizzazione del lavoro conduce alla riduzione generale dei salari, all’aumento del lavoro nero e a un tasso di disoccupazione che cresce man mano che la protezione del lavoro diminuisce.
Con queste premesse, semplici e lineari, appare ovvio che il dibattito sull’art. 18 è ideologico, ma non da parte nostra! Un dibattito intorno a cui si stanno scatenando forze politiche e sociali e creando alleanze e opposizioni. Questo Governo, con un uomo solo al comando, sta mostrando derive populiste e di matrice di destra, che invocano in continuazione l’ossequio al volere di 12 milioni di elettori, e che tanto richiamano le frasi del berlusconismo del tempo che fu. Metodi autoritari da editto bulgaro che non possono soffocare l’esigenza di una discussione franca e senza tabù.
Ci si chiede se queste modalità, che a volte assumono contorni esasperati, non nascano da un difetto di esperienza e di capacità di mediazione, con la principale forza di governo che trasmette segnali di nervosismo al seppur minimo contrasto, oppure derivino da una strategia studiata a tavolino. Noi siamo per la seconda ipotesi.
Con i Sindacati, ma con la CGIL in particolare, il confronto è inesistente e si sostanzia a tratti con toni beffardi e insultanti che la dicono lunga sulla considerazione che l’esecutivo ha della rappresentanza dei lavoratori, considerati ferrivecchi. E anche se questo governo è reduce da un inimmaginabile consenso ottenuto alle Europee che lo ha pienamente legittimato, sta evidenziando difetti di democrazia partecipativa. Renzi si sta svelando un abile stratega e sta utilizzando l’art. 18 per superare le divisioni interne al suo partito e per aprire la comunicazione con la destra e soprattutto per catturare quegli elettori.
Abbiamo combattuto in questi anni Tremonti, Brunetta e Berlusconi, contrastando tenacemente norme che hanno umiliato il mondo del lavoro. Dalla parte dei lavoratori abbiamo mantenuto la nostra autonomia senza confonderci con le beghe di partito, perché non siamo un partito. Ma il problema non è oggi l’art. 18, il cui ridimensionamento, e lo ripetiamo per l’ennesima volta come un mantra, non ha prodotto un solo posto di lavoro, ma come si affronta questa crisi devastante, senza un progetto organico, una ricetta risolutiva, da parte di alcun partito.
Come CGIL abbiamo invece una progettualità che si esplicita nel Piano del Lavoro nel quale abbiamo proposto una revisione degli ammortizzatori sociali, l’assegno di disoccupazione universale, un nuovo Statuto dei Lavoratori che estende i diritti ai precari e che comporta una drastica riduzione dei 46 contratti in cui oggi è imbrigliato il mondo del lavoro. Ma occorrono tavoli e confronti, un grande senso di responsabilità, una coesione finalizzata allo sviluppo, un lavoro di squadra di tutte le parti in campo, che passano dall’attenzione, all’ascolto e alla restituzione della dignità ai lavoratori.
C’è bisogno di condividere un progetto. E’ stata messa in piedi una macchina mediatica che ci definisce conservatori, difensori di privilegi di casta, ma la gente deve sapere che i nostri salari sono solo poco più che dignitosi, che arriviamo ad autotassarci per mantenere grande e utile con gli stessi servizi la nostra Organizzazione, nel tentativo di non snaturare una confederalità a cui tutte le categorie fanno riferimento, perché ne costituisce l’anima.
Questo Governo, come afferma Camusso, ha meno coraggio di quello che dichiara: gli manca la volontà di affrontare i problemi veri ovvero la corruzione e l’evasione fiscale. Noi non abbiamo nel nostro dna decisionismi e vuoti annunci. Abbiamo dato casa al lavoro, abitandola di dignità e di diritti. I temi su cui ci vogliamo misurare sono la legalità, la formazione e l’istruzione, l’industria e il suo sviluppo, una Pubblica Amministrazione degna di questo nome e un welfare a misura di cittadino, con una progettualità costruita ascoltando e raccogliendo i bisogni della gente e dei lavoratori.
E’ di queste finalità che si nutre il Piano del Lavoro della città metropolitana di Bari, che rilegge il territorio rendendolo intelligente e fruibile. E allora, andiamo avanti, tiriamo fuori l’orgoglio, con una forza più grande perché è in gioco non solo il nostro destino ma soprattutto quello del lavoro e dei lavoratori. Malgrado il Governo cerchi di indebolire il sindacato attraverso l’attenuazione decisa delle sue prerogative, su vari livelli, noi continuiamo e continueremo a lavorare come sempre e anche di più. Sempre nel nome di quella causa giusta che ha ispirato Di Vittorio e continua ad ispirare noi.
*Segretario Generale Cgil Bari