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Il testo che segue è la sintesi dell’articolo pubblicato nella sezione Tema del n.3-2017 della Rivista delle Politiche Sociali. Gli abbonati possono leggerlo qui in versione integrale. Questo è invece il link alla rubrica che Rassegna dedica alla stessa Rivista
Se collocati all’interno di un solido edificio di protezione sociale in grado di includere gran parte della cittadinanza, possono essere strumenti efficaci a contrastare povertà e crescenti disuguaglianze che affliggono le società occidentali. E tuttavia, schemi di reddito minimo non sono presenti in tutti i Paesi europei, e in alcuni casi scarsa generosità e requisiti d’accesso particolarmente stringenti limitano fortemente la loro capacità protettiva.
Sono in particolare i Paesi del Sud Europa ad aver avuto, in passato, i sistemi di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale meno efficaci e più lacunosi. Prima della Grande Recessione, soltanto il Portogallo presentava una rete di sicurezza ultima comparabile (seppur meno generosa) ad altri Paesi europei. In Spagna schemi di reddito minimo esistevano, e però presentavano notevoli limiti in termini di copertura, e di conseguenza a livello di spesa complessiva. Infine, Italia e Grecia rimanevano privi di una protezione, considerando la contemporanea espansione degli schemi di reddito minimo anche nell’Europa dell’Est.
L’avvento della crisi ha reso evidenti l’inadeguatezza del sistema di welfare tradizionale e familistico per proteggere dai rischi sociali tipici del XXI secolo. In un contesto reso difficile dalle ristrettezze di bilancio e dalle pressioni internazionali volte al contenimento della spesa pubblica, questo ha contribuito negli ultimi anni a far sì che la rete di sicurezza ultima venisse rafforzata anche nel Sud Europa.
In particolare in Spagna durante la crisi vi è stata una notevole espansione degli schemi regionali di reddito minimo in tutte le comunità autonome, seppure rimangono evidenti limiti in termini di differenti capacità protettiva dei diversi programmi regionali. In Portogallo, dopo una fase caratterizzata da tagli e riforme sottrattive anche (e persino) in questo settore, gli ultimi interventi del 2017 mirano a ristabilire la capacità protettiva del Rendimento Social de Inserção.
Quanto alla Grecia, in un contesto reso drammatico dalla crescita della povertà e dalla drastica diminuzione delle risorse complessive per gli interventi sociali, sempre nel 2017 è stata introdotta una misura che per generosità, copertura e spesa complessiva, si avvicina agli schemi di reddito minimo presenti negli altri Paesi europei. Infine anche l’Italia, con l’introduzione nel dicembre del 2017 del Reddito di inclusione, si è finalmente dotata di uno strumento strutturale di contrasto alla povertà, sebbene le caratteristiche di tale misura la rendano difficilmente comparabile con gli strumenti presenti negli altri Paesi europei, compresi quelli cui abbiamo accennato.
In definitiva, dunque, negli anni più recenti, anche nel Sud Europa si sono fatti passi in avanti per quanto concerne la rete ultima di sicurezza sociale. E tuttavia, i contemporanei tagli nei settori “forti” di politica sociale – pensioni, sanità e sussidi di disoccupazione – rischiano di “sovraccaricare” eccessivamente gli schemi di reddito minimo nei Paesi mediterranei: l’evidenza comparata mostra come è solo nei casi in cui sono inseriti in sistemi di protezione sociale in grado di proteggere la maggioranza della popolazione – cosiddetto targeting within universalism – che questi riducono efficacemente povertà ed esclusione sociale.
Non solo. Sul piano comparato occorre rimarcare come debolezze e ritardi nella rete di protezione ultima rimangono notevoli, anche alla luce delle trasformazioni avvenute nei sistemi di protezione sociale dei Paesi con cui ci confrontiamo. Nel resto dell’Europa, gli schemi di reddito minimo sono divenuti strumenti centrali di protezione del reddito, rivolti non solamente alle persone in condizione di povertà estrema, ma anche a gruppi sempre più vulnerabili appartenenti alla “classe media”, come lavoratori atipici e/o con salari troppo bassi, giovani in cerca di lavoro, individui in difficoltà a seguito di eventi particolari, migranti ecc.
Insomma, pur con tutti i loro limiti, rispetto agli strumenti introdotti nel Sud quelli vigenti nel resto d’Europa sono più generosi, è più facile accedervi, e consentono di usufruire di un’ampia gamma di servizi e facilitazioni che non si limitano alla richiesta, pur presente, di essere attivi nella ricerca di un lavoro.
Purtroppo, le debolezze dei sistemi di protezione minima del Sud del continente sono particolarmente accentuate nel caso italiano, per il momento, tra i Paesi considerati, quello che investe meno per la protezione dal rischio povertà. Nonostante le recenti iniziative muovano nella giusta direzione, occorre fare passi molto più decisi per dotarsi di uno strumento almeno comparabile con quelli presenti in Europa.
Marcello Natili è assegnista di ricerca presso l’Università di Milano