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“Il Patto per la salute è finalmente arrivato, anche se con un ritardo di anni. Anni in cui il sistema è stato devastato dai tagli fatti dai vari governi”. Da qui, dal Patto per la salute, partiamo per la nostra intervista con Vera Lamonica, segretaria confederale della Cgil, che per la confederazione si occupa proprio dei temi-chiave del welfare.
Rassegna Dunque, è positivo che il Patto sia stato fatto…
Lamonica Ed è positivo che dentro il Patto sia stato programmato un finanziamento triennale della sanità, che almeno dà alle Regioni un quadro di riferimento dentro il quale possono lavorare. Certo, sulle cifre non mancano problemi: se per quest’anno c’è la conferma sostanziale della cifra stabilita precedentemente, per i prossimi due anni è previsto un finanziamento inferiore di ben tre miliardi e mezzo a quanto aveva annunciato il ministro della Sanità. E poi, purtroppo, il Patto prevede la possibilità che queste cifre vengano riprese e corrette (nel senso di ridotte) da condizioni più generali di finanza pubblica. Ovviamente, ci auguriamo che non sia così. Allo stesso modo, è positivo che si sia riavviato un dialogo vero tra Regioni e governo. Naturalmente, rimangono alcuni punti di perplessità.
Rassegna Quali?
Lamonica Per quanto riguarda il merito, il Patto non ha affrontato tutti i temi sul tappeto e molti li ha sostanzialmente rinviati. Ne dico due: l’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) da una parte; la questione dei ticket dall’altra. Il peso dei ticket ha prodotto effetti drammatici sul sistema: da una parte, abbiamo sistemi regionali profondamente diversi gli uni dagli altri, anche per la giungla dei ticket; dall’altra, per il peso dei ticket – e per il dramma delle liste d’attesa –, tantissime persone hanno rinunciato a curarsi. Noi abbiamo ritenuto estremamente positivo che non si siano caricati sul sistema i nuovi due miliardi di ticket che erano previsti. Su questo abbiamo fatto molta pressione e lo riteniamo un effetto anche del nostro impegno. Ma non basta. I ticket vanno profondamente ripensati. Noi non pensiamo a fare un ragionamento, come è emerso da dichiarazioni del ministro e non solo del ministro, legato solo al reddito: in un paese dove l’evasione è così forte, il legame con il reddito, giusto in linea di principio, rischia di produrre un effetto paradossale, di caricare cioè questo onere solo su chi le tasse le paga, e quindi sul lavoro dipendente e sui pensionati.
Rassegna E per quanto riguarda il metodo?
Lamonica Quella tra governo e Regioni è stata una discussione del tutto autoreferenziale, che ha tagliato fuori non solo il sindacato, ma qualunque rappresentanza del sistema, il che ha reso questa discussione per alcuni aspetti anche poco trasparente. Non è solo una rivendicazione di ruolo. Il punto è: se sono vere le affermazioni fatte nel Patto sul sistema che va profondamente riformato, ricostruito, riorganizzato sulla base del punto centrale – la cronicità e la non autosufficienza e quindi la riorganizzazione dei servizi territoriali –, per fare questo serve un rapporto positivo con gli operatori del settore. Se questo non c’è, tutto diventa più difficile. E oggi questo rapporto è sostanzialmente assente. Noi lavoreremo perché nella fase d’attuazione del Patto e nei vari atti che a esso dovrebbero seguire, si riapra un confronto. Così come non va bene che non ci sia alcun riferimento a nessuna ipotesi di contrattazione, neppure in prospettiva. È come se si affidasse alla legge ogni intervento sul personale. Per noi è un problema grosso. Rivendichiamo con forza, come in tutta la pubblica amministrazione, il riavvio della contrattazione, il rinnovo delle convenzioni che sono scadute, poniamo con grande forza il tema dei precari che sono dentro il sistema, ai quali il Patto fa un riferimento molto schematico. Nella sanità, dove si produce cura e quindi relazione con le persone, il capitale più importante sono le professionalità di chi opera nel settore. Quindi, o si svolta e si costruisce un rapporto positivo con gli operatori, oppure la riorganizzazione territoriale non si fa. Si può sempre annunciarla, certo, metterla nei titoli, ma non si fa. Perché per farla c’è bisogno di una vera mobilitazione delle energie, delle forze, delle motivazioni degli operatori sanitari. Questo è uno dei punti deboli del Patto. Da qui anche la nostra campagna “Salviamo la salute”. Che vuole aprire nei territori confronti con le altre forze della rappresentanza, con le istituzioni locali, con le Regioni, con i cittadini, sulla questione del diritto alla salute e su come si organizza il sistema perché possa reggere, perché sia davvero sostenibile, perché dia risposte vere ai bisogni e ai diritti delle persone.
Rassegna Un tema caldo è quello delle Regioni e dei piani di rientro…
Lamonica È una delle questioni più dure. Le Regioni hanno sì risanato i conti, ma l’hanno fatto con uno schema punitivo, per cui si è scaricato sui cittadini maggiore tassazione, maggiori ticket, minori servizi. Anche laddove migliorano i conti, peggiorano le prestazioni e i livelli di salute dei cittadini. È bene che nel Patto questo tema venga affrontato ed è bene che si cominci a ragionare sul fatto che i livelli di sostenibilità finanziaria e i livelli di garanzia delle prestazioni vanno tenuti assieme. Così come riteniamo positivo che non possano più essere commissari nelle Regioni a piano di rientro i presidenti delle Regioni, uscendo dalla situazione assurda che abbiamo avuto finora. Ed è sempre positivo che si ragioni su un rapporto diverso tra Regioni e Stato centrale: se non c’è un vero affiancamento dello Stato centrale non si risolve il problema vero, al di là della corruzione e della cattiva gestione, quello di sistemi che producono debito, che vanno dunque riformati e riqualificati. Bisogna togliere la gestione del problema al solo ministero dell’Economia e riportarla a essere una questione di salute, di organizzazione e di gestione del sistema sanitario.
Rassegna Insomma, sono i cittadini e i lavoratori che si devono riappropriare della questione…
Lamonica Esatto. I cittadini, da un lato, perché il diritto alla salute è uno dei diritti costituzionali fondamentali di questo paese e non possiamo più permetterci che in metà del paese, sia per inefficienza, sia per l’impossibilità di erogare i Lea fino in fondo, si abbatta il diritto alla salute. Non a caso la nostra campagna si chiama “Salviamo la salute”. Noi pensiamo infatti che, a stare fermi, il sistema implode, schiacciato tra i tagli, la riduzione delle prestazioni, la fuga delle persone, il peso dei ticket e un modello organizzativo che non risponde alla nuova configurazione dei bisogni delle persone. Dall’altro lato, ci rivolgiamo ai lavoratori della sanità. Perché senza un loro protagonismo la riorganizzazione non si fa. Per renderli protagonisti bisogna restituire loro gli strumenti contrattuali, ridare dignità e forza al loro lavoro e toglierli dalla condizione terribile per cui, essendo dappertutto o quasi sotto organico, il sistema si regge sul sacrifico degli operatori, su orari improbabili, su condizioni di lavoro difficilissime. Quando parlo di lavoratori non mi riferisco solo ai dipendenti del Servizio sanitario nazionale, ma anche a tutti i lavoratori dei servizi collegati, degli appalti, le mense, le lavanderie, che sono quelli su cui spesso si scaricano in ultima istanza tutte le debolezze del sistema. Occorre insomma una rinnovata confederalità che si faccia carico delle esigenze e dei diritti di tutti. In questo senso, pensiamo a un patto: ricostruire una relazione positiva tra gli utenti, i cittadini, e gli operatori, i lavoratori, è uno dei punti di qualità di questa campagna. Solo attraverso questa alleanza si difende e si rilancia il welfare.