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Cosa riserva il futuro dell'eurozona? Dipende da dove si guarda. Alcuni indicatori economici suggeriscono che le cose potrebbero mettersi bene per la sopravvivenza della moneta: per esempio, l'occupazione è tornata ai livelli pre-crisi e la crescita del Pil procapite ha superato l'anno scorso quella degli Usa. Al tempo stesso, però, i rischi politici sembrano in crescita, malgrado i miglioramenti dell'economia dell'Unione.
L'evidenza del rischio crescente di una rottura dell'eurozona scaturisce da tre diversi indicatori (anche se un loro esame più approfondito mette in rilievo che, mentre i rischi a più lungo termine restano forti, quelli a breve termine appaiono piuttosto bassi). Un indicatore largamente utilizzato si basa sulle indagini Sentix dei partecipanti al mercato, che mostrano una forte crescita di quelli che credono che l'eurozona si sfascerà presto (nell'arco dei prossimi 12 mesi). Ma a causare la rottura si ritiene non sarà la Grecia, bensì la Francia e l'Italia.
Certo la Grecia è di nuovo in difficoltà. Ma, secondo l'indicatore Sentix, la percezione della probabilità di una Grexit resta ben al di sotto delle stime precedenti. Al contrario, la percepita probabilità di una Frexit e di una Italexit è dell'8 e del 14% più alta di quanto sia mai stata nei 10 anni della crisi dell'eurozona.
L'equilibrio tra Banche centrali nazionali all'interno dell'eurozona costituisce un altro indicatore largamente adottato per segnalare la probabilità di una rottura. I cosiddetti saldi Target 2 sono spesso presi a riferimento come il segnale di una fuga di capitali: gli investitori in Paesi a rischio di abbandono dell'euro potrebbero essere tentati di trasferire i loro fondi in Germania. In tal modo, questi investitori trarrebbero beneficio se il loro Paese abbandonasse l'Unione monetaria, perché i saldi con una banca tedesca rimarrebbero presumibilmente in euro o nel “nuovo marco tedesco”, solido some una roccia se l'eurozona dovesse crollare.
Ma questa linea di ragionamento non sembra convincere affatto, perché i saldi Target 2 non sono correlati con le probabilità di rottura dell'euro, così come misurato dalle indagini Sentix. Basterebbe prendere a riferimento il saldo Target 2 della Banca della Grecia, migliorato leggermente negli ultimi mesi, e quello della Banca di Francia, che è rimasto vicino allo zero (con un piccolo recupero solo quando è aumentata la probabilità di una vittoria del Front National di Marine Le Pen).
In verità, i saldi di Spagna e Italia si stanno di nuovo avvicinando a 400 miliardi di euro in obbligazioni nette, un livello raggiunto l'ultima volta nel momento di maggior picco della crisi dell'euro, prima che il presidente della Bce promettesse – nel luglio 2012 – che il suo istituto avrebbe fatto tutto quello che serviva per salvare la moneta dell’Unione. E comunque l'aumento del saldo negativo per la Spagna è difficile da conciliare con i robusti dati economici del Paese iberico e in assenza di una significativa forza politica anti-euro.
Il solo Paese per il quale l'indicatore Sentix è correlato con i saldi Target 2 è dunque l'Italia. La spiegazione fornita dalla Bce in merito alla crescita degli squilibri nel Target 2 – che è soprattutto un’indiretta conseguenza del vasto programma di acquisti realizzati dalla stessa Bce – sembra pertanto molto più ragionevole rispetto alla fuga dei capitali. E, infatti, questi squilibri hanno cominciato a crescere di nuovo con l'inizio degli acquisti di bond, molto prima del recente periodo di instabilità politica.
Il terzo indicatore utilizzato per sottolineare il rischio di rinnovate tensioni nell'eurozona è probabilmente il più affidabile, perché si basa sull’analisi dello spread: la differenza tra i rendimenti dei titoli francesi, italiani o spagnoli e quelli emessi dalla Germania. E lo spread è aumentato molto negli ultimi mesi. Ma la verità è che si tratta di un indicatore in qualche modo coerente con l’attenzione riservata alle elezioni presidenziali francesi di questa primavera e sulle elezioni politiche in Italia (che si devono tenere all'inizio del prossimo anno), indicate come qualcosa che potrà determinare il destino dell'euro.
Dopotutto, il largamente citato spread riferisce la differenza dei rendimenti dei bond a dieci anni. Uno spread di 180 punti base per l'Italia, per esempio, significa che il governo italiano sta pagando l’11,8% in più del governo tedesco, ma solo sui titoli a dieci anni. Se si dovessero prendere le prossime elezioni come un orizzonte appropriato, si dovrebbe guardare alle scadenze di uno o due anni. Ma per questi orizzonti di investimento a breve termine, gli spread sono molto più bassi: vicini allo zero per la Francia e di alcune dozzine di punti base per l'Italia e la Spagna.
Insomma, ci sono davvero pochi motivi per temere per la sopravvivenza dell'euro nel breve termine. Piccoli spread di breve termine smentiscono l'attenzione alle prossime elezioni in Francia (e in Italia), che presumibilmente implicherebbero un ravvicinato pericolo di rottura. Analogamente, mentre gli squilibri Target 2 accumulati creerebbero davvero un problema in caso di rottura dell'euro, non costituiscono tuttavia un indipendente indicatore di fuga dei capitali.
Certo, non tutto va bene. I differenziali di rendimento a lungo termine suggeriscono che i partecipanti al mercato hanno qualche dubbio a proposito della sopravvivenza dell'euro sul lungo periodo. La speculazione sui risultati delle elezioni nell'immediato futuro è più affascinante della discussione sulle riforme dell'eurozona. Dopo che gli elettori si saranno contati, tuttavia, i policy maker non avranno più scuse per non affrontare fondamentali problemi di lungo termine, a cominciare da come far funzionare la moneta unica.
Daniel Gross è direttore del Center for european policy di Bruxelles
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