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PORTELLA DELLA GINESTRA (PA) – “Senti come tira forte il vento. C’è sempre vento qui a Portella. Quel giorno pure. Noi eravamo là a goderci la festa, tutto a un tratto sentimmo gli spari. Pensammo che fossero i botti, i fuochi d’artificio. Ma dopo un secondo la gente fuggiva di qua e di là, vidi più di qualcuno cadere per terra. Scappai pure io, senza capire”. Giuseppe Vitanza aveva quattordici anni e mezzo quel giorno. È uno degli ultimi sopravvissuti dell’eccidio di Portella. Lo incontriamo in mezzo agli altri (oltre 10mila le persone stimate) mentre sfila nel corteo di Piana degli Albanesi al quale partecipa ogni Primo maggio per ricordare i suoi compagni caduti.
Quando torna con la mente a quel giorno ancora si commuove: “Fuggii verso la montagna e là incontrai un uomo anziano. Sentimmo un colpo che ci sfiorò, passò vicinissimo a noi. ‘Questi disgraziati ce l’hanno fatta! Ci stanno ammazzando’, gridò lui. E così scappammo giù insieme. In paese era già arrivato il cardinale di Palermo, ci disse ‘siamo con voi’. Solo in quel momento capii che c’era stata una strage”. Anziani che ricordano, ma anche tantissimi giovani si sono messi in cammino da Piana degli Albanesi verso Portella della Ginestra, luogo simbolo della lotta alla mafia, scelto quest’anno da Cgil, Cisl e Uil nazionali per celebrare la Festa dei lavoratori (la Camera del lavoro di Palermo lo fa in realtà ogni anno) nel settantesimo anniversario dell’eccidio. La bellezza naturalistica di questo luogo consegna all’evento un’atmosfera che solo qui si può trovare.
La giornata è iniziata intorno alle 8.30 con il tradizionale ricordo delle vittime al cimitero di Piana, presenti il sindaco della città e il vescovo.
Poi il corteo con tante storie. Giusi Madonia è una mamma single. “Riesco a lavorare solo tre mesi l’anno in agricoltura, non posso nemmeno garantire una vita dignitosa ai miei due figli. Diritti, dignità, libertà, giustizia, rispetto dei contratti: sono queste le conquiste per cui lottiamo oggi. Come allora, vogliamo che la terra vada a chi lavora. Per questo – è la sua richiesta – la Regione dovrebbe aggiornare la banca dati delle terre incolte. Più di 40 sindacalisti sono stati uccisi nel secolo scorso per questa battaglia, non è possibile che oggi i nuovi braccianti, spesso migranti, siano ancora gestiti dai caporali”.
In piazza c’è l’Anpi, l’associazione dei partigiani; ci sono tante sigle di categorie giunte da tutta la Sicilia perché questa è la manifestazione principale dell’isola. Uno striscione per Peppino Impastato. Gli edili, come sempre, tra i più rumorosi insieme alla Rete degli Studenti medi e all’Udu (gli universitari), con un gruppo di ragazze e ragazzi stranieri che hanno voluto partecipare portando dei fiori. Qualcuno canta Bella Ciao che poi viene intonata a gran volume dalla banda e allora la cantano tutti, anche le donne affacciate alle finestre che scattano foto e salutano i manifestanti.
“Le nostre radici, il nostro futuro”, come recita lo slogan scelto dalle tre confederazioni. Qualche metro più avanti incontriamo Rosy Bindi, presidente della commissione Antimafia: “Molto è stato fatto, oggi non c’è più la mafia delle stragi. Però molto c’è ancora da fare. Non è cambiata – osserva – la capacità delle mafie di inquinare la vita del Paese. È importante allora essere qui oggi nell’anniversario di Portella, per il mondo del lavoro e per tutta l’Italia”.