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Il più grande problema di chi è sottoposto a vessazioni lavorative è il vissuto di isolamento. Nei casi che seguiamo le relazioni lavorative sono gravemente distorte: i diritti arbitrariamente limitati, le richieste sono esasperate e non raramente esulano dalla relazione lavorativa, la lavoratrice viene sottoposta a ricatti e a minacce; nella gran parte dei casi viene costruito un contesto che colpevolizza la lavoratrice. Il semplice esercizio di diritti fondamentali (fruire di un congedo per malattia, oppure avere un figlio) diventa un comportamento da sanzionare.
Quando accade questo, il problema più grave è sentirsi sola: sola perché il tuo contesto interpersonale – il partner, i familiari, gli amici – non coglie la gravità della situazione e non la comprende; sola perché le istituzioni sono lente ad intervenire, o non intervengono per niente; sola perché i concetti di stress lavorativo e mobbing ancora non sono adeguatamente compresi e rappresentati nel contesto della sicurezza sul lavoro; sola perché, purtroppo, la negazione di diritti e l’esercizio di poteri personali arbitrari sono diventati purtroppo una regola piuttosto che un’eccezione in molti contesti lavorativi, anche istituzionali; sola perché la difesa dei diritti richiederebbe l’intervento coordinato di più istituzioni e questo non succede quasi mai.
L’ambulatorio mobbing e disadattamento lavorativo dell’Asl Napoli 1 è nato nel 2000, su sollecitazione della Fisac Cgil, che ha dato così lo spunto per la costituzione di quello che è stato il primo centro clinico di assistenza alle vittime del mobbing in una struttura del Ssn.
Il rapporto sindacato Asl è proseguito per molti anni consentendo di allargare l’ambito di intervento dall’assistenza alla formazione e alla valutazione dello stress lavoro-correlato negli anni precedenti alla legge 81. Da allora ho seguito personalmente oltre 1000 casi di lavoratori lavoratrici vessati o esposti a condizioni di lavoro fortemente stressante, principalmente sul versante relazionale-psicosociale. Le donne sono più del 40 per cento dei casi e provengono da tutti i settori lavorativi; hanno un’età media di 50 anni in un range tra 19 e 79. Il 50 per cento sono laureate, il 45 per cento ha conseguito il diploma superiore.
Dal punto di vista clinico l’intervento principale, per ridurre il danno e mettere freno a un processo che può diventare devastante, è ristabilire la comprensibilità di quanto la lavoratrice sta vivendo e aiutarla ad elaborare una strategia per fronteggiare la crisi, le ostilità, evitare le ricadute negative sulle relazioni personali e sulla vita extralavorativa. Tra le strategie di difesa c’è anche l’individuazione di azioni concrete che vanno dalla mediazione all’azione legale.
L’intervento clinico resta però circoscritto all’individuo, al quale, per quanto rafforzato, resta il carico dell’azione, il vissuto di una battaglia difficile contro un nemico più forte, in un contesto che, nella migliore delle ipotesi, è indifferente.
C’è bisogno di costituire di una rete di sostegno fatta di persone e di istituzioni, che possano dare informazioni, produrre azioni concrete; una rete che, solo per il fatto di esistere, spezza l’isolamento e offre supporto emotivo.
Questo è ancora oggi un punto debole ed è proprio per rinforzare questo punto che l’ambulatorio, in questo validamente appoggiato dalla Direzione del dipartimento di Salute mentale, ha aderito al protocollo di collaborazione formulato dallo Sportello aperto dalla Cgil. Nel corso dell’anno passato abbiamo già affrontato con successo più di un caso in cui la collaborazione ha permesso di verificare quanto l’azione congiunta consenta una maggiore incisività nel concreto e potenzi l’azione di sostegno psicologico.
È in prospettiva un incremento di collaborazione anche in senso progettuale per migliorare le azioni e le strategie di intervento.
* Responsabile ambulatorio mobbing Dsm Als Napoli1