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Cinquantadue crisi industriali aperte, con oltre 15 mila lavoratori interessati, un quarto degli operai complessivi nel settore (nel complesso, 8 mila posti persi dal 2008). Questa, la fotografia del settore metalmeccanico scattata dalla Fiom pugliese, un report che ha indagato anche investimenti e produttività delle aziende che applicano il contratto di Federmeccanica. “Si tratta di un’industria che pesa non poco sulla nostra economia – spiega il segretario generale della Fiom pugliese, Giuseppe Cillis –. Contribuisce per quasi il 12% alla formazione del Pil, un dato comunque in riduzione rispetto al passato, e rappresenta un terzo della ricchezza prodotta nel comparto manifatturiero”.
Un pezzo importante dell’industria metalmeccanica regionale è rappresentato dall’Ilva di Taranto: suoi, sono oltre quattromila dei 7.300 lavoratori metalmeccanici che oggi ricorrono ad ammortizzatori sociali. Oltre duemila sono nel Barese, 700 nel Brindisino, “dove forti sono le preoccupazioni per la vertenza che riguarda le aziende dell’indotto Leonardo”. Per la Fiom Puglia “con uno scenario del genere, in una fase di crisi ancora acuta soprattutto al Sud, è assurdo che si taglino le tutele e si renda conveniente licenziare. Servono nuovi ammortizzatori sociali e i licenziamenti devono costare molto”.
Una crisi testimoniata anche dalle ore di cassa integrazione che registrano picchi proprio nell’industria, con 25,6 milioni di ore autorizzate da gennaio ad agosto 2017. “Abbiamo anche un’industria di eccellenza che investe in innovazione, ma prevale una scarsa specializzazione, produzioni a basso valore aggiunto, che facilmente le imprese possono scegliere di spostare altrove, inseguendo il vento della convenienza. Mancano politiche industriali in questo Paese, anche se l’intervento pubblico negli anni è stato importante e allora qualcuno deve pure chiamare queste imprese a rispondere dei contributi ricevuti con incentivi o contratti di programma”, rileva il dirigente sindacale. Oggi queste imprese lavorano al 72% della loro produttività, “cosa che si riflette ovviamente anche sulla tenuta occupazionale e sui salari”.
Secondo il leader delle tute blu pugliesi, si parla tanto di Industria 4.0, “che rimanda a temi strategici per il lavoro e per il sindacato come neutralità della tecnologia, sostenibilità sociale dei cambiamenti, e dalle risposte che si daranno dipenderà la riduzione o crescita degli spazi di democrazia e partecipazione. Allora noi della Fiom rispondiamo con un nostro modello, quello del lavoro 4.0, basato su solidarietà e giustizia sociale. E i primi nemici di questa visione sono la legge Fornero e il Jobs Act”.