In America si chiama “organizing”: il sindacato che cerca strategie nuove e inclusive per rappresentare un mondo del lavoro sempre più disperso, lontano sia fisicamente sia spesso “filosoficamente” dai contesti in cui tradizionalmente lo stesso sindacato si è trovato ad agire. Pratiche innovative di sindacalizzazione che sfruttano la rete, le comunità formali e informali e i luoghi di aggregazione meno tradizionali per combattere battaglie che, invece, sono sempre le stesse: difendere e tutelare diritti e salario dei lavoratori sempre più deboli in un’epoca dominata dal capitalismo transnazionale e dallo sfruttamento della manodopera a basso costo dei paesi più poveri del pianeta. Da qui un’apparente contraddizione: i mutamenti in atto nel mercato del lavoro rendono oggettivamente sempre più difficile la vita ai sindacati, ma, insieme, generano condizioni di lavoro che ne rendono sempre più necessaria la presenza.

Anche se dai media traspare poco, è già da un po’ che anche il sindacato italiano opera su questi terreni di frontiera. Di questa attività, figlia anche della strategia della contrattazione inclusiva uscita dal XVII congresso della Cgil, dà conto una preziosa ricerca promossa dal dipartimento delle Politiche giovanili della Cgil nazionale e realizzata dall’Associazione Bruno Trentin, il cui report è stato curato da Andrea Brunetti, Daniele Di Nunzio e Chiara Mancini e significativamente intitolato “Storie di frontiera e sfide quotidiane della Cgil di oggi”. L’assunto è chiaro: del sindacato c’è sempre più bisogno ma, affinché la sua azione abbia efficacia, è necessario che mutino e si aggiornino molte delle sue pratiche tradizionali. E così a leggere le decine di casi di successo di queste vertenze condotte in maniera “atipica” si può scoprire che non sempre uno sciopero può essere utile, che WhatsApp in alcuni casi riesce a sopperire con ottimi risultati alla classica assemblea sindacale, che una pagina Facebook magari è in grado di motivare più di un comizio e che, soprattutto in contesti in cui è significativa la presenza di lavoratori immigrati, i sindacalisti hanno molto da ascoltare – e imparare – dai leader riconosciuti delle diverse comunità.


“Per la prima volta – spiega Andrea Brunetti, responsabile delle Politiche giovanili della Cgil e coautore della ricerca – con questi focus analizziamo gli accordi non solo dal punto di vista del risultato finale, ma anche del percorso intrapreso per arrivarci. Il che è altrettanto importante: è nel percorso, infatti, che si impara persino a partire dagli errori e che si traccia una strada che può proseguire oltre l’accordo stesso”. Inoltre, aggiunge il sindacalista, “per noi è stato importante tenere separati i concetti di innovazione ed efficacia. Non sempre, infatti, costruire pratiche innovative può risultare efficace”.

Il sindacato, comunque, non può rigettare la sfida del cambiamento: “Se è vero infatti che innovare significa necessariamente sperimentare e che l’innovazione porta con sé dei margini di rischio – si legge nel report – è comunque chiaro che nel contesto di oggi innovare le proprie pratiche, accettare le sfide, essere creativi, serve a sorprendere le controparti, aprire nuovi orizzonti, rompere equilibri consolidati e permette di aumentare i margini di efficacia di ogni azione sindacale”. È su queste “piste” che i ricercatori tra aprile e dicembre 2014, attraverso una serie di interviste in profondità ai diversi protagonisti e rispettando una scansione settoriale e territoriale, hanno raccolto, raccontato e analizzati azioni di sindacalismo innovativo ognuna a suo modo indicativa ed esemplare.

I casi raccontati sono 16. Si va da quello della catena di palestra Klab di Firenze, 90 lavoratori, quasi tutti collaboratori a cui nel 2013 l’azienda decide unilateralmente di abbassare la paga oraria. Il contatto con il sindacato, per questi lavoratori privi di diritti sindacali, poteva essere pericoloso: per questo, a seguito del primo incontro, i sindacalisti di Nidil – si legge nella ricerca – "hanno iniziato un percorso fatto di incontri individuali e assemblee al di fuori del contesto aziendale, utilizzando gli spazi della camera del lavoro, all’occorrenza tenuta aperta anche la sera per favorire la partecipazione, ma utilizzando anche i luoghi pubblici, come pub o parchi, e dedicando a questa fase molto tempo e attenzione al percorso”. Ciò ha permesso l’avvio di una trattativa con l’azienda e, poco dopo, la sigla di un accordo.

Interessanti anche il caso del delegato inclusivo pensato da Nidil Modena, significativamente chiamato “Spartaco”, figura di riferimento opportunamente formata che si muove nel territorio, un ponte tra lavoratori atipici, lavoratori tradizionali e sindacato: importante, in particolare, il successo alla Bosch, dove in previsione di alcuni licenziamenti la sensibilizzazione operata dal delegato ha evitato la divisione tra lavoratori più o meno tutelati, portando poi a un soddisfacente accordo sindacale e alla presenza di Nidil in fabbrica. O, ancora, la vertenza Carrefour con i quadri che si mobilitano su WhatsApp, il sindacato di strada della Flai Latina tra i lavoratori migranti invisibili di Borgo Hermada o i “banchieri ambulanti” che operano a partita Iva e che la Fisac di Padova è riuscita a includere in un percorso di contrattazione (qui il racconto di alcune esperienze) .

Al termine di questa disamina i ricercatori hanno provato a raccogliere alcune indicazioni generali, tratti comuni esemplari e dunque trasferibili, seppur con tutte le articolazioni e cautele del caso. Per Brunetti, Di Nunzio e Mancini i fattori di innovazione imprescindibile per migliorare l’efficacia dell’azione sindacale sono numerosi e articolati. Prima di tutto occorre ricomporre la dispersione del mondo del lavoro, favorendo “la creazione di coordinamenti di lavoratori-attivisti su base aziendale, professionale, di sito e di filiera”. Fondamentale l’inclusività, sia orizzontale (“includendo nei processi decisionali i lavoratori indipendentemente dalla loro tipologia contrattuale”) che verticale (con “strategie di azione sindacale capaci di coinvolgere tutte le figure del ciclo produttivo”). Per il sindacato è importante raggiungere e farsi raggiungere (cioè “incontrare i lavoratori anche al di fuori dei posti di lavoro, un sindacato di strada e itinerante”) e rispondere ai bisogni, valorizzare “il ruolo dei servizi e mettere in relazione la tutela individuale con l’azione collettiva”. Imprescindibile anche rafforzare la democrazia: “La partecipazione deve essere favorita in tutti i processi decisionali aumentando le opportunità di discussione e di approfondimento, attraverso le assemblee, i gruppi di lavoro, il web”.

Utile poi elaborare campagne di sindacalizzazione mirate, “individuando obiettivi concreti e favorendo la creazione di reti con le associazioni e le istituzioni, cercando di coinvolgere la cittadinanza”. Bisogna poi rafforzare lo scambio di saperi, la ricerca e la formazione, “legandola anche a sperimentazioni concrete di azione sindacale (mappatura del territorio, ricostruzione delle filiere, analisi dei bisogni e delle opinioni, utilizzando massicciamente le potenzialità offerte dal web, come nel caso dei questionari on -line)”. Infine, è necessario investire e muoversi su una dimensione europea, “al fine di costruire battaglie sindacali vincenti, capaci di incidere nella nostra cultura organizzativa e aprire nuovi orizzonti in merito alla efficacia e incisività del sindacato”.

Non mancheranno resistenze e non sarà facile, ma si tratta di un bel vademecum per il sindacato del futuro.
“È bene però non dimenticare – conclude puntualizzando Brunetti – che se l’innovazione dal basso è necessaria, se le buone pratiche sono fondamentali per la contrattazione inclusiva, non tutte le complessità e le difficoltà sono risolvibili sul territorio e che serve dunque sempre una forte e strutturata guida dall’alto”.