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Giunto ormai all’età adulta, il premio Volponi è un evento di sicuro tra i più stimolanti del panorama letterario – e non solo letterario – del paese. L’edizione in corso in questi giorni – l’ottava, aperta l’11 novembre si chiude il 26 – ha visto tra le molte iniziative la presentazione di due testi, uno di Paolo Volponi, Parlamenti, l’altro di Luigi Di Ruscio, Palmiro, usciti entrambi nella collana “Carta bianca” di Ediesse – casa editrice che con Edit Coop è tra gli sponsor del premio –. Sui due grandi scrittori, sui loro testi – quello di Volponi era ancora inedito –, sul significato più generale di queste giornate, abbiamo rivolto alcune domande ad Angelo Ferracuti, direttore di “Carta bianca” e tra i principali animatori della manifestazione.
Rassegna Di Ruscio e Volponi, figure diverse accomunate dallo stesso intenso rapporto con il lavoro, la politica, il sociale. Al di là di questo, si può trovare qualche ulteriore elemento di affinità?
Ferracuti Di Ruscio e Volponi sono due scrittori quasi coetanei, entrambi marchigiani, tanto diversi e lontani per alcune questioni, tanto vicini per altre. Vicini per l’aspetto visionario, per l’immaginazione del Potere e dei suoi simulacri, per l’organismo vivente della scrittura, quella “macchina mondiale”, quel meccanismo verbale nel quale hanno entrambi riversato un’idea massimalista della letteratura, e cioè l’Opera Mondo, la visione globale.
Ma diversi in quanto hanno visto la Grande Balena capitalista da due luoghi opposti, non di meno utili alla comprensione di una dimensione storica, oltre che artistica: uno nella Olivetti di Ivrea, la fabbrica utopistica che metteva al centro la persona e non il profitto, e l’altro in quella fordista, metallurgica di Oslo dove questa dimensione umanistica non c’è e diventa, al contrario, il luogo concentrazionario e lugubre dell’alienazione, ma anche l’epica dell’operaio assoluto. Ma sempre, e in questo hanno entrambi un debito con Leopardi, guardando ai processi sociali con la lente deformata della scrittura, rompendo le forme espressive canoniche per creare attraverso la lingua una immaginazione più potente capace di universalizzare la condizione umana.
Rassegna Veniamo al libro di Volponi, Parlamenti. Com’è strutturato, qual è il suo contenuto?
Ferracuti Il testo è diviso in due parti. La prima è di finzione, si intitola “Il senatore segreto”, e raccoglie frammenti di un romanzo inedito. Più che di finzione diciamo che usa la finzione per parlare, attraverso la figura di un senatore fantasma della politica italiana degli anni 80, della finta “modernizzazione” del paese e della fine di alcuni valori solidaristici. La seconda è una raccolta di discorsi parlamentari dello stesso periodo, contigua per temi e azioni.
Ne viene fuori un libro corposo che è un po’ quello di uno scrittore che già venticinque anni fa, con una immaginazione sociologica formidabile, aveva visto le derive del mondo che stiamo vivendo. La fine della civiltà industriale, il passaggio dal “naturale” all’“artificiale”, e quell’accelerazione neoliberista che oggi Luciano Gallino definisce “finanzcapitalismo”.
Rassegna Il libro di Di Ruscio, invece?
Ferracuti Palmiro è un romanzo diverso, direi tipicamente di formazione, che racconta la provincia italiana e l’educazione politica e letteraria di un militante di base del Pci di Palmiro Togliatti, ma è anche un romanzo poetico, lirico, “espressionista”. È un libro struggente che ci racconta ciò che non siamo più e non possiamo più essere. Se si può usare una formula: la ricerca disperata di una società dei giusti, il sol dell’avvenire ma anche il tramonto del sol dell’avvenire. È il libro eroicomico che racconta i comunisti italiani, i loro tic, i frazionismi, le retoriche, e in maniera ironica e dissacratoria storicizza letterariamente il fallimento del socialismo reale.
Rassegna Il premio Volponi. Un evento ormai affermato, penso si possa dire. Quali sono, in sintesi, i suoi caratteri peculiari? Quali le novità di questa ottava edizione?
Ferracuti È un premio atipico e assolutamente non mondano, nato nel nome di Volponi, e per questo segnato da una forte impronta di militanza intellettuale, fatto con pochissime risorse economiche. Gli stessi scrittori e critici che nel tempo l’hanno pensato possiedono questa fisionomia, a cominciare da Stefano Tassinari che nel lontano 2004 gli diede vita in un momento difficilissimo della storia del nostro paese, in assoluta controtendenza. Quindi non è una gara tra editori e tra scrittori ma è un premio comunitario rivolto intanto a una giuria popolare e a un pubblico di lettori, soprattutto studenti delle scuole marchigiane; un progetto culturale che produce incontri, mostre, proiezioni, e connette cinema, teatro, fumetto, musica, e naturalmente letteratura, con lo scopo di indagare le trasformazioni, i mutamenti, le derive, e vorrei pensare anche i sogni e le speranze della società contemporanea.
Si sono legati nel tempo al nostro progetto artisti come Ascanio Celestini, Francesco Tullio Altan, Mario Dondero, Uliano Lucas, e quest’anno una coppia straordinaria, Dario Fo e Franca Rame, ai quali daremo un premio alla carriera per l’impegno politico e civile. Dopo l’edizione di rilancio del 2010 ci siamo strutturati di più, abbiamo consolidato le collaborazioni, ponendo le basi per una ulteriore crescita. Infatti è già attivo nel programma di questa edizione un gemellaggio con il Seminario per giornalisti del Redattore sociale e della Comunità di Capodarco, una delle istituzioni storiche dell’associazionismo cattolico di base, e comincia una collaborazione fattiva con l’Archivio Olivetti di Ivrea, cioè con la grande memoria di quel “capitalismo democratico” che proprio Volponi aveva visto nascere e poi fallire.
È nostra intenzione poi aggregare intorno al Premio anche tutte quelle istituzioni (alcune già presenti come la Cgil nazionale, la casa editrice Ediesse, la Edit Coop, le Coop) che fanno parte del mondo democratico e cooperativo, e cioè di un mondo del lavoro “altro” al quale anche l’autore di Le mosche del capitale guardava con rispetto e speranza.
Quest’anno abbiamo puntato molto sulle mostre, allestendone addirittura tre: Clear Light, omaggio di cinquantadue fotografi italiani al Dalai Lama (tra questi alcuni indiscussi maestri come Giacomelli, Berengo Gardin, Scianna, Battaglia, Mulas), le tavole originali del primo super eroe africano, L’Angelo nero di Mauro Cicarè (Ferracuti trascura elegantemente l’autocitazione: è lo sceneggiatore dell’omonimo fumetto, ndr), una mostra sulla libertà d’informazione dell’Ordine dei giornalisti delle Marche. Incontri e libri tra storia e memoria con Alessandro Portelli, una serata sulla poesia civile con i poeti Franco Buffoni e Gabriele Frasca, una scelta di documentari, tra i quali quello di Michele Fasano dedicato alla vicenda umana e intellettuale di Adriano Olivetti, un convegno sull’opera di Di Ruscio con relazioni di alcuni tra i maggiori critici letterari dell’ultima generazione (Raffaeli, Cortellessa, Zinato). Solo per citare alcune delle iniziative.
Rassegna La terzina dei finalisti del 2011, infine: Andrea Bajani, Paolo Di Stefano, Gilberto Severini: Ogni promessa, La catastròfa, A cosa servono gli amori infelici. Le ragioni di questa scelta?
Ferracuti Sono tre libri tra loro molto diversi, solchi letterari distanti tra di loro, così come diverse sono le fisionomie e i retroterra generazionali dei tre autori. Le scelte dei libri le condivido con Enrico Capodaglio, Massimo Raffaeli ed Emanuele Zinato, gli altri componenti della giuria tecnica, e sono sempre dettate da caratteristiche differenti, che poi sono quelle dei libri di Paolo Volponi e in generale dei libri di qualità, di buona letteratura. Un’idea forte nella scrittura, la realtà come motore dell’immaginazione, e poi il lavoro fatto sulla lingua, che a nostro avviso è un altro atto di resistenza e di impegno. Forse il più significativo in uno scrittore.