Reggio Emilia, 02 febbraio 2009
Penso che anche chi segue attentamente il problema degli infortuni sul lavoro non saprebbe rispondere prontamente a questa domanda, nonostante il dato clamoroso. Perché i morti sul lavoro in Poste Italiane sono trasparenti, pare non arrivino nemmeno ad essere considerate “morti bianche”. L’azienda è proprio Poste Italiane. I morti sono tutti portalettere e un autista. Non se ne parla mai sui giornali nazionali o nei TG. La morte di un postale è sempre relegata nelle cronache locali, spesso con accenti di “folklore locale”: è morto il postino del paese, stimato e benvoluto da tutti i paesani, conosciuto da tutti, ecc…
Ma queste sono morti sul lavoro, non tragiche fatalità della strada. Se nell’ultimo anno i morti sul lavoro in Poste Italiane sono raddoppiati dei motivi ci sono, non è un tragico scherzo del destino.
Innanzitutto per inquadrare il problema penso sia opportuno spazzare via alcuni luoghi comuni e soprattutto la percezione generalizzata e sbagliata che tutti hanno delle poste. Prima di tutto, Poste Italiane S.p.A. non è una azienda pubblica! Potrebbe sembrare, questa, una rivelazione clamorosa, visto che nessuno se n’è accorto, ma da più di dieci anni Poste Italiane è un’azienda privata (febbraio 1998).
Essendo privata si è messa alla ricerca spasmodica del “profitto”, come l’imperativo del privato detta.
Così sono arrivati tagli al personale, fantasiose politiche di uso del lavoro precario e risparmi ovunque si può, anche sulla dotazione e manutenzione dei mezzi.
I risultati economici (ovviamente non dovuti solo ai tagli) sono stati clamorosi, dal deficit abissale di azienda pubblica si è passati a bilanci invidiati da tante grandi aziende da sempre private. Dai sussidi governativi si è passati a finanziare lo stato. Grazie soprattutto al sacrificio e al forte senso del dovere dei dipendenti, di chi lavora. Qui i distorti e strumentali ragionamenti sui fannulloni non reggono, anzi siamo all’opposto, ma anche in questo caso nessuno se n’è accorto. O, forse, non se ne vuole accorgere, per non dover riconoscere nulla ai lavoratori di Poste.
Probabilmente non è un caso che nell’anno in cui si sono annunciati profitti record (utile 2007: 844 milioni di euro), in Poste Italiane si arrivi anche a toccare la cifra record di morti sul lavoro.
Il 21 gennaio un lavoratore del porto di La Spezia è morto. Tutti i giornali e i TG hanno riportato in grande evidenza, come è giusto che sia, la notizia. I portuali il giorno dopo sono scesi in sciopero in tutta Italia. Il giorno prima, 20 gennaio, e il 15 gennaio sono morti due portalettere in servizio, due morti sul lavoro in una settimana nella stessa azienda, Poste Italiane. Solo alcuni giornali e siti web locali hanno riportato le notizie. Nemmeno i più vicini colleghi di lavoro hanno scioperato un minuto. Del resto neanche ne avrebbero avuto la possibilità, visto che lo sciopero per i postali è regolamentato.
Non si tratta, naturalmente, di fare una classifica di importanza sulla tragedia dei morti sul lavoro, ma è evidente che qualcosa non va in questa percezione delle morti bianche. Personalmente ho provato a ricercare notizie relative agli incidenti mortali in Poste. Non è stato semplice reperirle, per alcune di esse ci sono solo pochissime righe su siti sindacali, nessuna è apparsa su quotidiani nazionali.
Ho messo insieme un piccolo dossier, da diffondere fra lavoratrici e lavoratori di Poste Italiane a Reggio Emilia, almeno per far sapere loro che anche i nostri colleghi muoiono sul lavoro, nonostante nessuno lo dica, e per far prendere coscienza che questo è un lavoro molto pericoloso. Un piccolo dossier per dare spazio al dramma umano, alle persone, per non parlare solo di anonimi numeri, per far vedere che questi colleghi avevano un volto, una storia, una famiglia. Penso possa aiutare di più a riflettere.
Voglio sottoporlo anche alla Vostra attenzione per provare a dare più risalto a quello che pare un “fenomeno sommerso”, visto che non passa la soglia dei giornali locali, ma che riguarda direttamente più di 42.000 lavoratori in Italia: quanti sono gli addetti al recapito di Poste Italiane.
Alberto Bucci
Reggio Emilia
P.S.: Probabilmente il fenomeno degli infortuni e delle morti durante il servizio di recapito è più vasto. I numeri e le notizie che ho riguardano solo Poste Italiane, ma da circa due anni sono apparsi in tutta Italia altri operatori, anche importanti, che svolgono lo stesso “mestiere”, in anticipo sulla liberalizzazione prevista per il 2011. Questi, in assenza di un contratto di settore e di regole certe, operano in una miriade di forme diverse, con appalti, sub appalti e affidamenti vari del servizio a ditte terze. Molti dei lavoratori addetti non risultano nemmeno svolgere attività di recapito, ma altro. Di conseguenza è difficile stabilire l’esatta proporzione di questa tipologia di infortuni e morti sul lavoro, ma senz’altro è più preoccupante delle sole cifre di Poste Italiane.
- dopo numerosi periodi da “postale precario” ho iniziato a lavorare in Poste Italiane stabilmente dall’anno della privatizzazione, 1998, come addetto al recapito (portalettere). Sono R.S.U. e R.L.S. in Poste Italiane a Reggio Emilia, eletto nella lista del S.L.C. C.G.I.L.
Leggi il dossier
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