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“Il lavoro in polizia è tra le occupazioni più stressanti. Secondo uno studio recente, realizzato su un gruppo di 486 lavoratori di polizia locale del nostro paese, il 61 per cento è risultato in condizione di stress moderato o severo. Valutare il rischio di stress da lavoro, allora, sembra più che mai urgente per tutelare la salute e la sicurezza dei poliziotti e della collettività intera”. Così il segretario generale del Silp Cgil Daniele Tissone, nel suo intervento al seminario “Lo stress lavoro-correlato: impatto sul benessere e la salute nelle forze di polizia europee e sulla percezione di sicurezza dei cittadini”, organizzato dal sindacato di categoria e dalla Confederazione, che si è tenuto oggi (giovedì 27 aprile) a Roma nell’ambito della Giornata mondiale per la salute e sicurezza.
Nel suo intervento Tissone ha puntualmente ricordato i fattori specifici che concorrono a delineare un alto rischio stress per il personale delle forze di Polizia, a partire “dalla realtà quotidiana, basata su orari particolari, un’organizzazione particolarmente rigida, caratterizzata da vincoli burocratici e giuridici, carenza di strumenti e di disponibilità economica, oltre che di riconoscimenti individuali, e dal contatto costante con fasce di cittadini particolarmente problematici”. A questi, ha proseguito, occorre aggiungere “il sentimento di impotenza nei confronti della gran parte delle richieste dei cittadini, e il coinvolgimento possibile, nel corso del servizio, in episodi gravi che possono mettere a repentaglio la vita dei poliziotti stessi e di altri cittadini”.
Il segretario generale del Silp ha poi rimarcato come “gran parte del personale della Polizia di Stato lavori in condizioni psicologiche comunque di disagio, aggravate dalla situazione di spendig review che ha portato a tagli negli strumenti e nei mezzi, oltre che alla riduzione degli organici e al progressivo invecchiamento del personale”. Tutto questo comporta che questi lavoratori, benché “godano di un livello di salute significativamente migliore della popolazione generale nel momento in cui entrano nei rispettivi Corpi, vedono peggiorare significativamente nel corso degli anni il loro stato di salute e presentare un più alto rischio di insorgenza di malattie”. Le patologie, ha precisato, sono “le più svariate: malattie cardiovascolari, disturbi del sonno, malattie psichiatriche, come ansia, depressione, pulsione al suicidio”.
In conclusione, Tissone ha rilevato che “al momento nel nostro paese l’unico studio che affronta direttamente il tema della salute mentale degli operatori, e della sua associazione con lo stress correlato al lavoro, è quello condotto sul Reparto Mobile di Genova”. In questo senso, ha concluso, è stato possibile osservare “che esiste una correlazione tra la percezione di stress lavoro-correlato e il risultato di punteggi più alti di malessere psichico. Anche il suicidio è spesso associato con la salute mentale degli operatori di polizia, sebbene il suicidio sia il risultato di una più complessa interazione di vulnerabilità personali”.
L’iniziativa organizzata dal Silp Cgil ha visto la presenza di un parterre d’eccezione. Hanno infatti partecipato il capo della Polizia Alessandro Pansa, Johannes Siegrist (docente dell’Università di Düsseldorf, studioso del fenomeno stress a livello mondiale), Nicola Magnavita (docente di Medicina del lavoro dell’Università Cattolica di Roma), Fabrizio Cipriani (docente dell’Università La Sapienza di Roma e dirigente superiore medico della Direzione centrale di Sanità della Polizia di Stato) e Sergio Garbarino (neurologo, docente dell'Università di Genova e medico capo del Servizio sanitario della Polizia di Stato), autore assieme al criminologo Francesco Carrer del volume “Lavorare in polizia: stress e burn-out”, edito da Franco Angeli.
“Basta riti e dichiarazioni vuote. Servono prevenzione, controlli e responsabilizzazione dei datori di lavoro, ma soprattutto serve far funzionare le leggi esistenti”. A dirlo è stato il segretario confederale della Cgil Gianna Fracassi, tirando le conclusioni del seminario. L’esponente sindacale ha sottolineato come i primi nemici della sicurezza sono “l’illegalità diffusa, la precarizzazione, la vastissima area di lavoro nero, grigio e non osservato. A cui oggi si è aggiunta l’esplosione dei voucher: nelle intenzioni dovevano ridurre il lavoro irregolare, in realtà si usano spesso e volentieri per ‘coprire’ il lavoratore proprio il giorno in cui si infortuna”.
Gianna Fracassi ha evidenziato come il lavoro dei poliziotti, al pari di tutti coloro che operano nel pubblico impiego, sia oggetto di “una svalutazione complessiva, fatta al grido di ‘fannulloni’ e ‘approfittatori’. È in atto un processo di riorganizzazione del lavoro pubblico, centrato sulla riduzione delle risorse, con cifre anche imponenti, e sul contestuale aumento dei servizi richiesti. A questo si unisce una più generale incertezza sulle prospettive del pubblico impiego”. Ma la cosa più grave, ha concluso il segretario confederale Cgil, è il messaggio che si dà ai lavoratori: “Nel momento in cui lo Stato congela gli stipendi, blocca i rinnovi contrattuali, impedisce il turn-over, dice a milioni di lavoratori che il loro lavoro vale poco. E questo è davvero inaccettabile”.