Sono trascorsi cinquant'anni, era il 12 dicembre del 1969, da quella che ricordiamo come ‘la strage di piazza Fontana’. Un ordigno venne fatto esplodere all'interno della Banca nazionale dell’agricoltura a Milano, morirono 17 persone e 84 rimasero ferite. La Cgil, come ogni anno, non dimentica e chiede verità e giustizia per tutte le vittime innocenti di questo e di altri attentati terroristici che hanno insanguinato il nostro Paese. Da quel giorno l’Italia piombò in uno dei periodi più bui del dopoguerra.

Il segretario generale della Cgil Maurizio Landini sarà oggi (giovedì 12 dicembre) a Milano per partecipare alle iniziative in occasione del 50° anniversario della strage e al corteo commemorativo che partirà da piazza della Scala e arriverà in piazza Fontana.

“La storia ci insegna che, oggi più di ieri, dobbiamo batterci per difendere la democrazia e contrastare ogni strategia della tensione”, spiega la Confederazione. Per la strage di piazza Fontana, nonostante la matrice neofascista sia stata accertata, denuncia il sindacato di corso d’Italia, “sono ancora troppi gli interessi da nascondere e le verità da deviare. Ma le responsabilità storiche non si possono nascondere, così come le motivazioni stesse di quell'assurda e sanguinosa strategia: attaccare e debellare la democrazia del nostro Paese, screditare quel movimento di lotta che aveva portato alla conquista dei diritti dei lavoratori”.

Quel giorno iniziò la lunga stagione della ‘Strategia della tensione’ e andarono in soffitta Sessantotto e Autunno caldo. La strage diede il via a una lunga serie di attentati (stazione di Bologna, Piazza della Loggia, treno Italicus) che insanguineranno l'Italia durante gli anni settanta. La nebbia, però, ha continuato ad avvolgere tutti i sette processi che si sono celebrati (tre le inchieste) e che non hanno mai portato all'accertamento della responsabilità personale di esecutori, mandanti e depistatori. Una vicenda giudiziaria che ebbe fine nel 2005, quando la Cassazione la chiuse con un'assoluzione generalizzata degli imputati presi in esame dall'indagine scaturita negli anni 90 dal lavoro sulle “Trame nere” dell'allora giudice istruttore Guido Salvini. 

Subito partirono le indagini sulla pista anarchica, l'arresto del ballerino Pietro Valpreda, frettolosamente individuato come autore della strage e che sarà assolto nel 1985 dopo un lungo calvario giudiziario. Il 15 dicembre la morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli precipitato dal quarto piano della questura durante un interrogatorio. Qualche tempo dopo la pista nera con le indagini su elementi di Ordine nuovo e l'incriminazione di Giovanni Ventura e Franco Freda. Poi la decisione di trasferire il processo da Milano a Roma, da Roma nuovamente nel capoluogo lombardo e infine a Catanzaro. Risultato: assolti sia Valpreda, sia i neofascisti. Negli anni 90 si fanno avanti i primi pentiti: Carlo Digilio e Martino Siciliano. L'inchiesta sfocia in un processo nel 2000. Imputati Delfo Zorzi, ormai ricco imprenditore della moda in Giappone, Carlo Maria Maggi, Giancarlo Rognoni, Roberto Tringali. Alla fine ergastolo per Zorzi, Maggi e Rognoni, mentre per Digilio scatta la prescrizione. Tre anni dopo, in appello, fioccano le assoluzioni. Digilio non è ritenuto credibile e, nelle more, c'è stata anche la brutta vicenda della ritrattazione di Siciliano, ‘comprata’ da Zorzi.
   
Il 3 maggio del 2005 di nuovo la parola fine. Gli imputati sono assolti definitivamente anche se i giudici della Suprema Corte, nelle motivazioni, confermano il quadro emerso dalle indagini e come gli attentati fossero opera di Ordine nuovo. Inoltre, la Corte ritiene che debba darsi una risposta “positiva” al giudizio di responsabilità di Freda e Ventura per “la strage di Piazza Fontana e gli altri attentati commessi quel giorno”. Freda e Ventura non sono però giudicabili in quanto già processati e assolti in via definitiva per gli stessi fatti.