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Bruno è un uomo. Uno di quegli uomini che dopo che sono usciti dalla catena di montaggio della vita si è perso stampo e progetto. Bruno è un portuale. Un lavoratore portuale. Un camallo, si sarebbe detto un tempo. Di quella Genova che scivola via lenta ma che rimane passione e impegno, per sempre. È un portuale, è rimasto un portuale anche quando avrebbe potuto smettere di pensarsi tale andando in pensione. Non per il lavoro, che è un lavoro di merda, di fatica e di pericoli. Ma per i compagni. Per il sentirsi parte di una cosa molto più grande di sé. Il lavoro come dignità, la politica come sogno, i compagni come famiglia.
Bruno è alto, sempre di corsa, un sorriso e un ghigno. E un sogno, mai lo stesso. Cambia con la vita. Con il crescere. Mi ha onorato della sua amicizia, io l’ho ricambiato con un film su di lui, sul suo sogno, sui suoi compagni. Focaccia, vino rosso, arrabbiature epocali e risate, E poi di corsa a casa, dalla sua compagna, dalla sua bambina.
Il suo sogno è Martina, una figlia da sempre desiderata e amata come solo uno come Bruno poteva amare. Ci scherzavamo, prendendolo in giro per i suoi eccessi protettivi. “La bambina”, diceva, ed era già donna. La sua compagna Franca, sua figlia Martina, e lui. Una famiglia. Di quelle famiglie che questa Italia rabbiosa e ipocrita ha dimenticato l’esistenza. Una famiglia che questo Paese imbarbarito senza idee e sogni non si merita.
Ieri Martina è morta. In un incidente, in vacanza. In Spagna, mi dicono i compagni di Bruno, gli stessi che considero compagni anch’io. Non riesco neanche a immaginarlo. Martina l’ho vista solo rare volte, come la compagna di Bruno. Lui teneva distanti i due mondi, quello del porto e quello della famiglia. Distanti ma uniti da sé. E li rivendica e rivendicava ancora semplicemente continuando a lottare. Sempre.
Non riesco a immaginare ora Bruno. Non riesco a immaginare la compagna della sua vita. Non riesco neppure a sfiorare il dolore, lo squarcio, che una cosa del genere può provocare in una persona come lui, in una famiglia come la sua. Perché Bruno è un uomo. Uno di quegli uomini che dopo che sono usciti dalla catena di montaggio della vita si è perso stampo e progetto. E che sa amare. Fino in fondo. Sempre.
Voi che mi leggete non sapete chi è Bruno Rossi. Un portuale genovese. Un lavoratore e un uomo. Un italiano. Un compagno. Uno che solo esistendo ha provato a cambiare la storia di questo ipocrita paese in declino. Senza mai smettere di amare. Anzi, amando sempre ogni giorno di più. La vita. E Martina.
Nella notte canto, con la memoria. Un pezzo di pane a fermare il vino
Umbre de muri muri de mainé
dunde ne vegnì duve l’è ch’ané
da ‘n scitu duve a l’ûn-a a se mustra nûa
e a neutte a n’à puntou u cutellu ä gua
e a muntä l’àse gh’é restou Diu
u Diàu l’é in çë e u s’è gh’è faetu u nìu
ne sciurtìmmu da u mä pe sciugà e osse da u Dria
e a funtan-a di cumbi ‘nta cä de pria
E ‘nt’a cä de pria chi ghe saià
int’à cä du Dria che u nu l’è mainà
gente de Lûgan facce da mandillä
qui che du luassu preferiscian l’ä
figge de famiggia udù de bun
che ti peu ammiàle senza u gundun
E a ‘ste panse veue cose ghe daià
cose da beive, cose da mangiä
frittûa de pigneu giancu de Purtufin
çervelle de bae ‘nt’u meximu vin
lasagne da fiddià ai quattru tucchi
paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi
E ‘nt’a barca du vin ghe naveghiemu ‘nsc’i scheuggi
emigranti du rìe cu’i cioi ‘nt’i euggi
finché u matin crescià da puéilu rechéugge
frè di ganeuffeni e dè figge
bacan d’a corda marsa d’aegua e de sä
che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de mä
Ciao Bruno, tutto quello che ho e sono è tuo