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“Il rischio per l'Italia di entrare in una fase di stagnazione è sempre più evidente. La ripresa che il governo continua a propagandare è ancora lontana e i dati economici dell'ultimo trimestre 2015, purtroppo, lo confermano”. È quanto si legge nel secondo numero dell'Almanacco dell'economia della Cgil.
“La ripresa non è il semplice cambio di segno del Pil e degli altri aggregati economici”, sostiene il sindacato, che ha elaborato un indicatore IriDE, Indice di Ripresa della Domanda Effettiva, con cui misurare la direzione dell'economia attraverso il rapporto tra la variazione della domanda interna, misurata come somma di consumi e investimenti, e la dinamica della produttività e del benessere del Paese, misurata con il Pil pro-capite. "Nell'ultimo trimestre del 2015 - evidenzia la Cgil - questo indicatore, che oscilla tra 1 e -1, è stato pari a zero, dunque nessuna crescita effettiva del sistema paese”. (Tabella n.2)
“La fase di stagnazione - si legge nello studio - è attenuata solamente da un aumento dei consumi delle famiglie, il cui contributo alla crescita della domanda aggregata, però, potrebbe essere neutralizzato dall’annunciata flessione delle esportazioni e della produzione industriale”. Per la Cgil "la variazione positiva dei consumi è da attribuire all’aumento del potere d’acquisto, realizzato soprattutto grazie ai rinnovi contrattuali, che hanno incrementato progressivamente il livello dei redditi da lavoro oltre l’inflazione". "Per questo è indispensabile - prosegue il sindacato di Corso d'Italia - rinnovare i contratti nazionali scaduti e aprire una nuova stagione contrattuale all’insegna di un moderno sistema di relazioni Industriali, per uno sviluppo economico fondato sull’innovazione e la qualità del lavoro”.
Inoltre, la Cgil evidenzia come la crisi occupazionale è ancora forte: “nonostante i sette miliardi di euro di incentivi previsti nella precedente legge di stabilità (sgravi contributivi per nuove assunzioni e deduzione Irap del costo del lavoro indeterminato), l’incremento annuo dei lavoratori permanenti è stato poco al di sopra dei 70 mila occupati, a fronte di un nuovo aumento dei lavoratori a termine di circa 115 mila unità".
Infine, secondo lo studio, “per tornare ai livelli pre-crisi non saranno sufficienti le trasformazioni di contratti precari o autonomi, effetto del Jobs Act, e il mero incontro domanda/offerta di lavoro per la copertura dei posti vacanti: se si considerano i posti di lavoro persi dal 2008, i nuovi inattivi e le forze lavoro potenziali, restano 'da occupare' almeno 900 mila persone”. "Per queste ragioni - conclude la Cgil - è necessario un piano straordinario di occupazione giovanile e femminile, così come indicato nel Piano del Lavoro, e una modifica radicale della riforma Fornero”.