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Un disegno di riforma della Pa, “lungi dall'essere rivoluzionario”, che “si muove in una logica di assoluta continuità con le riforme varate dai governi precedenti”. Un provvedimento dai tratti “fortemente antistorici, da anni '50”, segnati da “una strategia centralistica e verticistica”, e “che nega, nel sesto anno di blocco della contrattazione, la sfera contrattuale del lavoro pubblico”. È in sintesi il giudizio della Cgil e della Fp Cgil come si legge nel testo consegnato alla commissione Affari costituzionali della Camera in occasione dell'audizione sul disegno di legge, approvato al Senato, 'recante deleghe al governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche'.
Alla base, infatti, mancano a detta della Cgil due principi guida. Il primo che la riforma avrebbe dovuto assumere: “Una riforma basata su principi generali, chiari ed omogenei validi per tutte le Pubbliche amministrazioni regolata in modo armonico dalla legislazione statale, dalla contrattazione collettiva e, per gli ambiti di competenza, dalla normativa regionale; superando il principio di uniformità con una attenzione alle peculiarità del complesso mondo delle pubbliche amministrazioni e alle diverse funzioni svolte nel rispetto dei principi di autonomia a partire da quelli propri dei livelli costituzionalmente riconosciuti”. Il secondo: “Mettere al centro la qualità dei servizi pubblici dei quali fruiscono i cittadini, coinvolgendoli in una pratica di protagonismo e di partecipazione e valorizzando la risorsa del lavoro pubblico”.
La storia dovrebbe infatti dimostrare, si legge nel testo consegnato, “come governare tali processi tramite disposizioni e vincoli di dettaglio che valgano indistintamente per tutte le pubbliche amministrazioni non solo sia sbagliato ed inefficace ma in tal modo si rende impossibile la loro puntuale attuazione nelle molteplici realtà istituzionali ed organizzative in cui si è via via articola la Pa, creando per questa via un surplus di inefficienza”. Il tutto mentre “la stessa disciplina della dirigenza ha peraltro punti di dubbia costituzionalità” e “senza che siano previste norme che si muovano in discontinuità o che modifichino la legge Brunetta”.
In questo contesto, Fp e Cgil ricordano come “siamo ormai alla vigilia del sesto anno di blocco della contrattazione nel pieno di processi di riforma delle amministrazioni” mentre “in tema di lavoro pubblico e di dirigenza si avvia una forte operazione di decontrattualizzazione degli istituti relativi al rapporto di lavoro”. In sostanza “si è in presenza, se possibile, del peggioramento di quanto contenuto nella legge Brunetta, che rimane sostanzialmente valida anche nel rapporto tra la legge ed il contratto collettivo”.
Questo disegno di legge “continua nel solco del blocco dei contratti, ma aggiunge la scomparsa della contrattazione in nome del primato della legge e quindi della politica. Per capire dove vuole arrivare il Governo basta leggere quanto sull'argomento è contenuto nel ddl la Buona Scuola, ovvero 'Le norme della presente legge sono inderogabili e le norme e le procedure contenute nei contratti collettivi, contrastanti con quanto previsto dalla presente legge sono inefficaci'. Il contratto collettivo sparisce, spariscono le relazioni sindacali e il diritto del lavoro è affidato alla gentile concessione del governo di turno. La politica decide trattamento economico, con il blocco dei contratti, e gli istituti normativi con l'intervento per legge che annulla i contratti collettivi”.
Il tutto poi “viene affidato a non meno di 13 decreti delegati, da vararsi nei 12 mesi successivi alla approvazione della legge, ognuno dei quali dovrà essere sottoposto ad almeno 3 passaggi, dai tempi e dai percorsi di attuazione lunghi ed indecifrati”. In estrema sintesi, infine, emerge da questo disegno di legge “una idea di amministrazione pubblica antistorica, da anni '50, che prescinde dall'impianto istituzionale plurale e dalle diverse missioni che regolano il mondo della Pa”. Si segue, al contrario, “una strategia di riorganizzazione centralistica e verticistica attenta più alle linee di comando che ad un funzionamento che avvicina le amministrazioni ai cittadini”.
Per Cgil e Fp servirebbe una discontinuità che parta “dalle domande di qualità ed efficacia da parte di cittadini che chiamano in causa il valore del lavoro pubblico e su questo affrontare la riforma. In sostanza non partire dal problema del 'contenitore', bensì dal contenuto, dalle funzioni, evitando la cultura uniformistica che è cultura ministeriale ed amministrativa anche per servizi il cui connotato tecnico o di rapporto con i cittadini è prevalente”. Ecco quindi, in conclusione, le due critiche centrali: “La negazione della sfera contrattuale del lavoro pubblico (nata proprio per introdurre flessibilità e responsabilità) e la legificazione della organizzazione e delle condizioni di lavoro rappresenta l'aspetto più inquietante della materia”.