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“Non possiamo più accontentarci di uno sviluppo dell’uno, dello zero virgola, che non riesce minimamente a incidere sull’emergenza sociale che ormai si trascina da dieci anni al Sud: dobbiamo lanciare un segnale, un allarme”. Lo afferma il vicedirettore della Svimez Giuseppe Provenzano parlando in un’intervista a RadioArticolo1 del dossier presentato ieri alla Camera secondo cui nel 2018, con un Paese che cresce sempre meno (o non cresce affatto come nel terzo trimestre dell’anno), torna ad allargarsi la forbice tra il Centro-Nord e il Sud. Un arretramento che riguarda anche il terreno demografico e lo spopolamento, soprattutto dei giovani.
“L’emigrazione – osserva lo studioso – si inserisce in una spirale demografica fatta di denatalità, che mostra le condizioni sociali e di vita delle popolazioni meridionali prive, per esempio, di un sistema di welfare che consenta alle giovani coppie di usufruire di servizi per l’infanzia. Dalla nostra ricerca emerge che in alcune regioni del Sud questi servizi sono disponibili solo per il 5 per cento dei bambini tra zero e due anni, mentre sappiamo che molte zone al Centro-Nord ormai si superano le medie europee. Questo divario si traduce poi anche nelle scelte di vita e nelle possibilità di sviluppo, è sicuramente uno dei fattori determinanti”.
L’altro grido d’allarme riguarda come sempre le questioni economiche, l’industria, l’occupazione. “Purtroppo – spiega Provenzano – è la dimostrazione che le nostre analisi sono coerenti rispetto agli anni scorsi. Avevamo una congiuntura che favoriva una ripresa e in effetti il settore privato e produttivo, anche con l’aiuto di alcuni strumenti di politica industriale che sono stati messi in campo, ha provato a reagire. Ma è mancata la mano pubblica, è mancato l’operatore pubblico nella sua responsabilità di riattivare il motore dello sviluppo. Abbiamo il livello di investimenti pubblici che ormai ha raggiunto quello più basso di sempre. Lo ripetiamo da anni, ma oggi questa assenza diventa ancora più drammatica perché nel frattempo la congiuntura è cambiata”.
Un passaggio di fase che la Svimez definisce ‘la stagione dell’incertezza’. “Ci sono questioni di ordine internazionale legate ai numerosi fattori di incertezza che in questo momento regnano nell’economia mondiale ed europea. E anche il contesto nazionale da questo punto di vista si fa più difficile. In pratica, se non mettiamo in campo un impegno di natura straordinaria per riattivare lo sviluppo meridionale, ci dovremo rassegnare a una forbice che si riallarga. Però questo non è un problema solo per il Sud, è un problema per l’intero Paese”.
Il tema è caldo perché in questa fase politica si sta riaprendo la discussione sulle autonomie e sul regionalismo differenziato. “È bene tenere presente che se il Sud frena, si trascina dietro l’intero Paese; e il Nord, la locomotiva come qualcuno la chiamava anche se da anni non svolge più questo ruolo, senza il motore interno dello sviluppo e della domanda non ce la fa. Quindi il problema non è il Mezzogiorno e in questo caso nemmeno le sue condizioni sociali drammatiche. Il problema è l’economia nazionale, l’intero paese”.