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Non salvano vite umane, ma per il bene comune hanno deciso di mettere in gioco la propria. Negli spazi consueti, tra gli scaffali o dietro le casse, a garantire che nelle nostre case non manchino il caffè, il pane o i pomodori. Nei casi più virtuosi indossando guanti e mascherine, ma sono sempre più costretti a turni estenuanti, sette su sette, senza distinzione di domeniche e notti. In tempi di emergenza sanitaria, di obbligo per decreto a rimanere in casa, un tributo sproporzionato quanto inutile. Un’occasione per riflettere sul valore economico e sociale della liberalizzazione degli orari.
Nei giorni scorsi la Coop ha annunciato che nelle prossime domeniche lascerà abbassate le saracinesche dei propri punti vendita con lo scopo di limitare il movimento delle persone, quanto per concedere una giornata di riposo al personale sottoposto in queste settimane a condizioni di lavoro a dir poco estenuanti. In virtù degli accordi raggiunti con le parti datoriali, la Filcams, la federazione dei servizi e del commercio della Cgil, è tornata con forza a chiedere al governo di porre un limite alle aperture, non come restrizione della possibilità di approvvigionamento dei beni alimentari, ma come tutela per lavoratrici e lavoratori.
“Con questa emergenza, ci si è resi conto dell'importanza del ruolo delle lavoratrici e dei lavoratori dei supermercati – sottolinea Alessio Di Labio, segretario nazionale della Filcams –. #iorestoacasa per loro non vale, mentre coprono turni per 24 ore al giorno, con una gestione spregiudicata delle regole, costantemente a contatto col pubblico mentre i media insistono sui rischi di contagio. Uomini e donne costretti a lasciare – nel migliore dei casi – i propri figli dai nonni, persone fragili che andrebbero lasciate in pace perché in questa fase rischiano di più. Una situazione aggravata dal comportamento irresponsabile di persone che si sono riversate nei negozi a fare scorte di cibo, come se fossimo alla vigilia di una guerra”.
Si tratta di una platea di addetti, prevalentemente donne, che da anni chiedono di ridurre le aperture domenicali e festive perché la conciliazione dei tempi di vita, già difficile, oggi è diventata insopportabile. “Questa esperienza – sottolinea Di Labio – ci sta facendo comprendere come consumare 365 giorni l’anno non sia una priorità e, spero, presto torneremo alla normalità, potendo riprendere una discussione costruttiva sulla regolamentazione del settore. Nel frattempo però è necessario ridurre gli orari di apertura per tutti i negozi e chiudere almeno la domenica, anche quelli di generi alimentari. Serve necessariamente a queste lavoratrici e lavoratori per sopportare i carichi di lavoro e lo stress che affrontano ogni giorno garantendo a tutti noi di mangiare”.
“Provate a immedesimarvi – continua il segretario nazionale della Filcams – in un operatore di cassa che per molti giorni ha lavorato senza indicazioni ufficiali sui dispositivi di protezione da utilizzare, a contatto con centinaia di clienti al giorno. Ora finalmente iniziano a essere distribuiti con maggiore regolarità guanti in lattice e mascherine, in molti punti vendita vengono montati dei plexiglass per diminuire i rischi di contagio, ma questi lavoratori hanno accumulato uno stress che in molti casi si è trasformato in paura e psicosi di vivere tra le persone. Nel frattempo il tasso delle assenze è aumentato: per le quarantene, per il panico, per i congedi. Gestire meglio i turni di lavoro significherebbe gestire meglio la vita di queste persone che hanno a che fare – come tutti – con questa emergenza sanitaria, continuando a fare i conti con le scuole chiuse e il bisogno di conciliare il proprio tempo con le esigenze familiari”.
Quest’ordine di problemi potrebbe essere allargato agli addetti dei pubblici esercizi dislocati lungo la rete autostradale: uomini e donne che vivono le stesse criticità, probabilmente ancora più esposti perché in zone di transito; agli operatori delle pulizie, con problemi più accentuati in alcune strutture ospedaliere, perché banalmente in questo momento pulire un bagno getta nel panico molti addetti; alla filiera del turismo: settore che ha dimostrato tutta la propria fragilità, in cui sta venendo meno una serie di aziende che costituivano il comparto, lasciando senza prospettive decine di migliaia di persone. Questa fase ha fatto esplodere ciò che noi denunciamo da molto tempo: più un settore è frammentato, tanto più è difficile ottenere delle condizioni standard di tutela sia dal punto di vista della salute che occupazionale.
Nel frattempo il sindacato continua a portare avanti – rigorosamente attraverso delle videoconferenze – le trattative con le parti datoriali per scongiurare la perdita di migliaia di posti di lavoro, come dopo il passaggio della rete al dettaglio del gruppo Auchan alla cooperativa di dettaglianti Conad. “Sono abbastanza certo – conclude Alessio Di Labio – che questa fase farà rinascere tra i lavoratori l'orgoglio identitario e la solidarietà. Nel dopo-crisi potremmo assistere a una maggior capacità rivendicativa del comparto per aver acquisito l'orgoglio che oggi manca. Rendersi conto che i lavori più umili, quelli più deboli nel rapporto domanda-offerta, in realtà, hanno un fondamentale ruolo sociale e, per questo, devono acquisire maggiore forza contrattuale.