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Nei giorni scorsi sono fioriti, complice il primo tepore primaverile, commenti e proiezioni sui primi effetti per l’occupazione del Jobs Act dovuto ad un incremento (dato ufficioso, i dati ufficiali saranno disponibili a giugno per il primo trimestre 2015) dei contratti a tempo indeterminato. Poiché le nuove norme sul contratto a tutele crescenti sono operative dal 7 marzo, quello che osserviamo è imputabile esclusivamente alle disposizioni in materia di esonero contributivo previste per il solo 2015 dalla legge di Stabilità.
E tutto l’entusiasmo e l’ottimismo (peraltro, ma solo in parte, anche condivisibile) toglie spazio a quello che è accaduto nell’anno precedente e che va considerato come base di partenza per ogni ragionamento successivo: nel 2014 la media degli occupati in Liguria è stata di 599 mila unità (erano 603 mila nel 2013), il dato più basso dal 1993.
Il dato assume un carattere ancor più preoccupante se si scompone tra gli occupati dipendenti e indipendenti: mentre gli indipendenti risultano invariati (161 mila come nel 2013), i dipendenti passano da 443 a 438 mila unità. Analizzando nel dettaglio i settori, tranne l’agricoltura che resta invariata, abbiamo l’industria che cresce solo grazie agli indipendenti (ma Genova rispetto al 2008 lascia sul terreno oltre 10 mila occupati) ed il settore dei servizi che perde 6 mila addetti sul 2013 e ben 25 mila in sei anni.
Alcune ulteriori esempi aiuteranno a rendere più chiaro il contesto: dal 2011 si sono persi 37 mila occupati a tempo pieno, di cui 19 mila dipendenti (pari all’8 per centro dell’occupazione maschile ed al 5 per cento di quella femminile a tempo pieno). In tre anni sono quasi 40 mila in meno gli avviamenti con contratti di lavoro dipendente, parasubordinato e intermittente in Liguria. I giovani tra i 15 e i 24 anni hanno perso un terzo dell’occupazione in quattro anni, mentre crescono solo le classi mature ed anziane (rispettivamente più 17 e 24 mila unità). È continuata la crescita del lavoro a tempo parziale che sfiora quota 100 mila occupati (gli uomini sono ormai il 20.6 per cento del totale degli occupati part-time). I giovani non occupati, non in formazione e non in tirocinio (NEET) tra i 15-29 anni sono saliti al 21,6 per cento (pari a 28.156 persone) il dato più alto di tutto il Nord-Ovest. Infine, nel 2014 6 assunzioni su 10 erano a termine mentre il contratto a tempo indeterminato è sceso al 20,8 per cento.
La base di partenza è pertanto così bassa per quantità, qualità ed intensità del lavoro in Liguria che ogni piccola variazione verrà accolta come il risultato dell’ultimo provvedimento del legislatore e non come la risultante di più fattori socio-economici. Inoltre la crescita occupazionale di norma segue e non precede (se non per piccoli segnali) la crescita economica, ed è ancora imponente sia il numero dei lavoratori in cassa integrazione (il cui ricorso cresce in Liguria del 20 per cento nei primi due mesi del 2015, unica regione in Italia) sia la quota di lavoro a tempo parziale involontario.
Insomma, con il 2014 si è toccato il fondo e recuperare l’occupazione perduta negli ultimi tre anni non sarà comunque facile, non sarà sicuramente immediato e non è nemmeno detto che sia possibile. Abbiamo contemporaneamente pochi occupati (e sempre più anziani), molti disoccupati (76 mila sempre più ex-occupati) e quasi 30 mila NEET in un contesto demografico ligure sempre più critico e fragile. Senza una crescita economica vera, quella che deriva dai consumi interni e degli investimenti, non potranno bastare i dati dell’export ligure a sostenere una ripresa che non potrà reggersi solo su assunzioni ultra agevolate, sull’euro debole e sulla liquidità della BCE.
* Responsabile Ufficio Economico Cgil Liguria