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Oltre 800 esuberi in totale e la chiusura di 120 filiali. È durissimo il piano industriale 2017-2020 della Cassa di risparmio di Genova (Carige), presentato dall’amministratore delegato Paolo Fiorentino. A dover essere allontanato dovrebbe essere un quarto del personale (attualmente i dipendenti sono 4.742), mentre la dismissione riguarda il 20 per cento delle filiali. Obiettivo dell’azienda, alla fine del piano, è la riduzione del 23 per cento dei costi operativi e il raggiungimento di un utile netto pari a 146 milioni.
Il nuovo piano industriale (il quinto in quattro anni, nonché il terzo negli ultimi 15 mesi) prefigura la fuoriuscita dal perimetro del gruppo, dunque l’esternalizzazione, di circa 230 persone (impiegate nel ramo Ict, nel contenzioso, nella piattaforma di gestione dei non performing loans, e in Creditis, la società di credito al consumo del gruppo), che si sommano ai 500 già previsti nel piano industriale varato nel febbraio scorso. “Tutto ciò comporterebbe – spiegano Fisac Cgil, Fabi, First Cisl, Uilca e Unisin – l’inaccettabile precarizzazione di una notevole quantità di persone, con le relative famiglie, coinvolte in processi di esternalizzazione o, per altri versi, di mobilità territoriale”.
I sindacati sottolineano anche che il piano contempla “un ulteriore impoverimento delle retribuzioni, che già oggi sono ai minimi di tutto il settore creditizio, come ripetutamente dichiarato dallo stesso amministratore delegato, e un prevedibile e intollerabile inasprimento delle pressioni commerciali”. A queste condizioni, aggiungono, “non siamo disponibili a trattare”. Da qui la decisione di convocare “assemblee capillari coinvolgendo tutti i posti di lavoro, a partire dal prossimo 3 ottobre, data in cui inizieremo incontrando le lavoratrici e i lavoratori dei settori che l’azienda intende esternalizzare”.
Il piano è sicuramente “ambizioso nei risultati che si prefigge”, riconoscono Fisac, Fabi, First, Uilca e Unisin, ma “lascia tuttavia molti dubbi nelle concrete prospettive di rilancio del gruppo”. L’idea di diventare “una ‘banca rete’ che commercializza prodotti di altri" non convince i sindacati, che invece ritengono necessari “maggiori investimenti finalizzati all’innovazione e alla crescita economica”. I sindacati rimarcano che “gli ulteriori sacrifici vengono chiesti alle lavoratrici e ai lavoratori, non agli amministratori e ai top manager” e stigmatizzano l’assenza di “alcun accenno alle condizioni reali in cui sono costretti a operare coloro che lavorano in sede e in rete, questi ultimi anche oberati da incombenze burocratiche e amministrative per il 44 per cento del tempo, come dichiarato dall’amministratore delegato, nonché dalle pressioni commerciali insostenibili”.
Giovedì 28 settembre si terrà l'assemblea degli azionisti che dovrebbe approvare l'aumento di capitale da 560 milioni (500 dagli azionisti, 60 dalla conversione dei bond). Entro fine settembre, invece, dovrebbero arrivare le offerte (da altri gruppi bancari e da fondi di private equity) per l’acquisto di Creditis, la società del credito al consumo di Carige; il piano industriale stabilisce la vendita entro marzo 2018. Va ricordato, infine, che nel bilancio 2016 Creditis ha riportato un utile di 15 milioni di euro e un +22 milioni riguardo alla gestione operativa.