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“Una nuova Iri (Istituto per la ricostruzione industriale) per il futuro del Mezzogiorno sarebbe interessante da realizzare. Il punto è che nel nostro Paese non si vede nulla di simile all’orizzonte, perché tutti i governi degli ultimi vent’anni hanno continuato e continuano a privilegiare le soluzioni di mercato per risolvere le crisi industriali, ovvero ricercano un acquirente privato, italiano o straniero che sia. Il fatto è che questo tipo di politica non ha dato risultati particolarmente brillanti, e paradossalmente lo Stato ci ha spesso rimesso, vuoi perché si realizzano prestiti-ponte a favore di aziende pur private, ma che hanno bisogno di soldi statali, che non di rado non vengono restituiti, vuoi perché bisogna procedere in certi momenti a dei commissariamenti, che implicano comunque un intervento pubblico”. Così Emiliano Brancaccio, che insegna Economia all’Università del Sannio, oggi ai microfoni di RadioArticolo1.
“La prospettiva Iri, ipotizzata dal ministro dello Sviluppo economico Patuanelli, è molto lontana, perché quell’ente, assieme alla Cassa per il Mezzogiorno, era uno strumento di programmazione, oltre che di gestione, delle infrastrutture economiche e industriali del Paese, e ha permesso di realizzare processi di crescita e di convergenza fra le regioni più deboli e quelle più forti, a partire dai redditi, cosa che non si è mai più vista da allora in alcun modo. I tempi sono cambiati e adesso i quadri macroeconomici sono molto diversi da quelli di trent’anni fa, quando si parlava di controlli sui movimenti di capitale e di restrizioni all’import-export. Quegli enti sono stati definiti grandi carrozzoni pubblici di spesa, ma la retorica degli sprechi è viziata ideologicamente dalle tesi privatizzatrici e neoliberiste, perché Iri e Cassa hanno comunque prodotto risultati positivi, cercando di agganciare il Mezzogiorno al resto d’Italia. Del resto, lo testimoniano i dati attuali, che vedono in costante aumento il gap economico fra Nord e Sud”, ha affermato il docente universitario.
“Oltretutto, l’Iri raccattava imprese in crisi per ristrutturarle, e se compariamo i risultati con il settore privato, ci rendiamo conto che quelle pubbliche risanate erano più efficienti di quelle private. Mi chiedo, però, c’è oggi in Italia una situazione favorevole al ripristino di un intervento pubblico incisivo nell’economia? Ricordando che uno dei vantaggi dell’impresa pubblica sta nel fatto che essa può almeno in parte affrancarsi dall’esigenza di dover erogare dividendi, cioè profitti, agli azionisti proprietari privati. Ciò consente di ridurre i prezzi, da un lato, e di aumentare gli investimenti, dall’altro. Ma il problema è che se l’impresa pubblica viene collocata in un contesto in cui il mercato finanziario spadroneggia, in cui comunque la logica della massimizzazione dei dividendi è dominante, e se non la attui i capitali fuggono, occorre prima fare un discorso generale di sistema, per poi eventualmente discutere sul ruolo dell’impresa pubblica”, ha concluso l’economista.