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“Serve un intervento straordinario dello Stato che possa prefigurare nuovi modelli produttivi per il futuro”, perché “la crisi è di sostanza e quindi si può contrastare solo con una politica anticiclica che non può essere delegata al mercato, altrimenti andremmo incontro a una gigantesca trappola della liquidità”. Così Danilo Barbi, segretario confederale Cgil, ha aperto il suo intervento al dibattito 'Austerità o Sviluppo' organizzato all'interno delle Giornate del Lavoro.
Al centro del confronto, moderato dal giornalista di Repubblica Marco Panaro, la questione: si può scegliere tra l'austerità e lo sviluppo? L'unica strada per uscire dalla crisi – per il dirigente sindacale – è quella dello sviluppo, perché “democrazia significa poter avere alternative di governo”, in questo caso le scelte di politica economica. “Le famiglie non spendono, le imprese non investono, le banche non prestano, da questa crisi di domanda si può uscire solo attraverso una spesa pubblica che crei domanda aggiuntiva, indirizzando anche l'offerta del futuro. Questa è la strategia indicata dalla Cgil nel Piano del Lavoro”, ha sottolineato Barbi.
Per il viceministro all'Economia, Enrico Morando, non sempre si può scegliere tra austerità e sviluppo: "Nel 2014 abbiamo scelto di abbandonare le politiche procicliche restrittive a favore di politiche anticicliche mirate alla crescita. Una scelta che non è stata fatto in contrasto con gli organismi europei, ma con il loro consenso. Forse siamo alla vigilia, anche da parte dell'Europa, dell'abbandono di un orientamento di politica economica e fiscale con le caratteristiche dell'austerità a favore della crescita”.
“Il lavoro e l'occupazione furono temi centrali nella politica del secondo dopoguerra, oggi invece non sembra essere più così” ha denunciato Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana prendendo la parola. “Ci si impegna solo - ha aggiunto - a tenere sotto controllo i conti e ad agire con politiche di rigore. In Italia, dal 2009 ad oggi, abbiamo perso 600 miliardi di investimenti pubblici e privati, si è scelta una strada che non ha scommesso sull'occupazione, ma ha ripiegato sull'export. La produttività è stata ricercata quasi esclusivamente nell'intensificazione dei ritmi di lavoro. I mancati investimenti sono disastrosi se tradotti in termini occupazionali, mi chiedo: quando e come li recupereremo?”. In queste scelte, secondo Rossi “contano molto le soggettività politiche, se avessimo fatto scelte diverse in passato forse gli effetti della recessione sarebbero stati diversi. E' importante impostare le cose diversamente, prioritari gli investimenti sostenuti dalla spesa pubblica”.
A ribadire l'importanza della componente pubblica nell'innovazione è stata Mariana Mazzucato, docente della University of Sussex: “Il governo deve essere in grado di indirizzare le scelte delle aziende verso gli investimenti, la ricerca e lo sviluppo”. In Italia, secondo l'economista “non c'è un problema di spesa pubblica, il deficit è moderato, spesso più basso della Germania”. Il problema risiede nella mancanza di investimenti e di “innovazione smart” che in Italia manca da oltre vent'anni. Mazzucato ha poi riportato l'esempio della Fiat: “Marchionne non investe in Italia, lo fa negli Stati Uniti perché il governo Obama lo ha obbligato”. "C'è bisogno di spesa - ha concluso la docente - l'austerità non ha senso come già ci ha insegnato Keynes, serve un'economia anticiclica no prociclica, investimenti soprattutto nell'information tecnology, nelle nanotecnologie, nella rivalorizzazione del paesaggio". (N.C., F.A.)