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Assemblee in tutti gli istituti di credito per informare i lavoratori e decidere assieme le prossime iniziative. Inizia oggi (martedì 3 ottobre) la mobilitazione di Fisac Cgil, Fabi, First Cisl, Uilca e Unisin contro il piano industriale 2017-2020 della Cassa di risparmio di Genova (Carige), presentato dall’amministratore delegato Paolo Fiorentino. Oltre 800 esuberi in totale e la chiusura di 120 filiali, questi i principali contenuti. A dover essere allontanato dovrebbe essere un quarto del personale (i dipendenti ora sono 4.742), mentre la dismissione riguarda il 20 per cento delle filiali. Obiettivo dell’azienda, alla fine del piano, è la riduzione del 23 per cento dei costi operativi e il raggiungimento di un utile netto pari a 146 milioni.
Il piano strategico proposto dal management contempla anche un programma di rafforzamento patrimoniale che in questi ultimi giorni ha mosso i primi passi. Mercoledì 27 settembre, infatti, Carige ha ricevuto l'autorizzazione della Banca centrale europea alla realizzazione della manovra complessiva di rafforzamento (articolata in operazioni di ottimizzazione del passivo, aumento di capitale e cessione di asset), mentre giovedì 28 l’assemblea degli azionisti ha approvato (con oltre il 90 per cento) l'aumento di capitale da 560 milioni di euro. A breve, infine, dovrebbero arrivare le offerte (da altri gruppi bancari e da fondi di private equity) per l’acquisto di Creditis, la società del credito al consumo di Carige; il piano ne stabilisce la vendita entro marzo 2018.
Il nuovo piano (il quinto in quattro anni, nonché il terzo negli ultimi 15 mesi) prefigura la fuoriuscita dal perimetro del gruppo, dunque l’esternalizzazione, di circa 230 persone (impiegate nel ramo Ict, nel contenzioso, nella piattaforma di gestione dei non performing loans, e in Creditis, la società di credito al consumo del gruppo), che si sommano ai 500 già previsti nel piano industriale varato nel febbraio scorso. “Tutto ciò comporterebbe – spiegano Fisac Cgil, Fabi, First Cisl, Uilca e Unisin – l’inaccettabile precarizzazione di una notevole quantità di persone, con le relative famiglie, coinvolte in processi di esternalizzazione o, per altri versi, di mobilità territoriale”.
I sindacati sottolineano anche che il piano contempla “un ulteriore impoverimento delle retribuzioni, che già oggi sono ai minimi di tutto il settore creditizio, come ripetutamente dichiarato dallo stesso amministratore delegato, e un prevedibile e intollerabile inasprimento delle pressioni commerciali”. A queste condizioni, aggiungono, “non siamo disponibili a trattare”.
Il piano è sicuramente “ambizioso nei risultati che si prefigge”, riconoscono Fisac, Fabi, First, Uilca e Unisin, ma “lascia tuttavia molti dubbi nelle concrete prospettive di rilancio del gruppo”. L’idea di diventare “una ‘banca rete’ che commercializza prodotti di altri" non convince i sindacati, che invece ritengono necessari “maggiori investimenti finalizzati all’innovazione e alla crescita economica”. I sindacati rimarcano che “gli ulteriori sacrifici vengono chiesti alle lavoratrici e ai lavoratori, non agli amministratori e ai top manager” e stigmatizzano l’assenza di “alcun accenno alle condizioni reali in cui sono costretti a operare coloro che lavorano in sede e in rete, questi ultimi anche oberati da incombenze burocratiche e amministrative per il 44 per cento del tempo, come dichiarato dall’amministratore delegato, nonché dalle pressioni commerciali insostenibili”.