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Il peso dell’illegalità e dell’infiltrazione mafiosa nel settore agricolo ha raggiunto la quota insostenibile di 12,5 miliardi di euro: sono più di 3600 le organizzazioni criminali di stampo mafioso attive solo nell’Ue, con un danno stimato in 670 miliardi di mancati ricavi e con un effetto depressivo per l’intero sistema economico comunitario. Le mafie controllano in maniera sempre più pervasiva la contraffazione dei prodotti agroalimentari e la gestione illegale della tratta degli esseri umani. Sono solo alcuni dei tratti più sconcertanti che emergono dal dettagliatissimo rapporto Agromafie e caporalato realizzato dall’Osservatorio Placido Rizzotto per conto della Flai Cgil e che è giunto alla sua seconda edizione.
Particolarmente inquietanti i dati sulla contraffazione alimentare, che è aumentata del 150% nelle economie maggiormente sviluppate e del 128% in Italia, con danni pari a 60 miliardi di euro se sommati al fenomeno dell’Italian sounding, cioè dei prodotti che secondo etichettatura mendace richiamano al Made in Italy e invece sono realizzati altrove e con materie prime di dubbia qualità. Emerge poi in modo dirompente il dato relativo al sommerso occupazionale nel settore agricolo, che nel caso dei lavoratori dipendenti tocca la media nazionale del 43%, con un valore aggiunto prodotto dall’economia sommersa pari al 36% per gli imprenditori disonesti che falsano la concorrenza e agiscono in un regime di mercato falsato.
Sconfortanti anche i dati sulla condizione dei lavoratori e le lavoratrici impiegate nel settore agricolo. Secondo stime Flai, si legge nel rapporto, “sono circa 400.000 i lavoratori che potenzialmente trovano un impiego tramite i caporali, di cui circa 100.000 presentano forme di grave assoggettamento dovuto a condizioni abitative e ambientali considerate paraschiavistiche” anche se negli ultimi anni le segnalazioni sono cresciute, anche grazie all’introduzione nel codice penale del reato di caporalato che ha portato alla denuncia o all’arresto di circa 355 caporali.
Terribili le condizioni di chi lavora sotto caporale, come emerge anche da alcune storie raccolte nel rapporto. I lavoratori impiegati dai caporali percepiscono un salario giornaliero inferiore di circa il 50% di quello previsto dai contratti nazionali e provinciali di lavoro, cioè circa 25-30 euro per una giornata di lavoro che dura fino a 12 ore continuative. A questo bisogna aggiungere le “tasse” da corrispondere ai caporali dovute al trasporto (circa 5 euro), all’acquisto di acqua (1,5 Euro a bottiglia) di cibo (3,5 Euro per un panino). In molti casi, soprattutto al Sud, i lavoratori sono costretti anche a pagare l’affitto degli alloggi fatiscenti nei tantissimi ghetti lontani dai centri urbani e da occhi indiscreti.
Secondo una mappatura effettuata dal sindacato di categoria della Cgil, “sono circa 80 gli epicentri dello sfruttamento dei caporali, in 55 di questi abbiamo riscontrato condizioni di lavoro indecente o gravemente sfruttato. Più del 60% dei lavoratori e delle lavoratrici non ha accesso ai servizi igienici e all’acqua corrente. Più del 70% presenta malattie non riscontrate prima dell’inserimento nel ciclo del lavoro agricolo stagionale”.
Nonostante qualche lieve miglioramento, dunque, la lotta al caporalato risulta ancora largamente insufficiente. “Nell’indagine – dice la Flai – emerge sempre più in forma dirompente la debolezza di alcuni strumenti legislativi: da un lato la fragilità dell’attuale norma contro il caporalato che punisce solo il caporale e non gli imprenditori che si avvalgono della loro intermediazione, dall’altro la scarsa applicazione delle previsioni normative previste dal recepimento della direttiva europea n. 52, che avrebbe dovuto assicurare un regime di protezione speciale per i lavoratori e le lavoratrici sfruttate”.