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Ad Amman, in Giordania, nei giorni 1 e 2 ottobre scorsi, si è svolto il congresso costitutivo della nuova organizzazione regionale della Confederazione Internazionale dei Sindacati (CSI-ITUC) che raggruppa i sindacati dei paesi di lingua araba. La costituzione di questa nuova struttura è stata approvata dall'ultimo Congresso della CSI, nel maggio scorso a Berlino, come risposta al terremoto politico che, a seguito delle rivoluzioni del 2011, ha sconvolto gli equilibri di una regione culturalmente omogenea ma divisa geograficamente tra due continenti, Asia e Africa.
La creazione di questa nuova struttura, definita “sub-regionale” rappresenta una grossa sfida per la CSI e per l'insieme del sindacalismo mondiale. La sua ubicazione geografica di crocevia di tre continenti, la forte concentrazione di risorse energetiche, i luoghi sacri e fondativi delle tre religioni monoteiste, il processo di decolonizzazione non conclusosi come è il caso del Sahara Occidentale, il conflitto tra Israele e il popolo palestinese che non ha ancora avuto il riconoscimento del proprio stato, l'autodeterminazione dei Kurdi, la presenze di minoranze etniche e religiose in ogni stato- nazione, la presenza di sistemi statuari teocratici, monarchici o a guida militare – tutto ciò rende estremamente complessa la costruzione di una struttura di rappresentanza sociale con organizzazioni ispirate a principi di indipendenza, democrazia, inclusione.
Dal punto di vista economico e sociale, la fotografia di questa regione, può così essere rappresentata: circa il 2% della ricchezza mondiale, principalmente derivante dall'estrazione di petrolio e gas; un'economia totalmente dipendente dall'export di questi prodotti, con un deficit alimentare interno pari al 54% del fabbisogno regionale; il reddito pro-capite nei paesi estrattori di gas e petrolio è più di dieci volte superiore a quello dei paesi privi di questa ricchezza (50.000 $USA contro 4.000 $USA); le spese militari al 27%. In sintesi si può affermare che le politiche economiche della regione condizionate, se non dettate, dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, hanno come obiettivo di contenere il prezzo internazionale delle fonti energetiche a scapito delle politiche di protezione sociale, di promozione dei diritti umani e del lavoro, di programmi di sviluppo sostenibile.
Per quanto riguarda l'occupazione, la regione ha il tasso del 49% di popolazione economicamente attiva sulla popolazione in età lavorativa, il più basso tra le varie regioni del mondo. Mentre il tasso di disoccupazione registrato secondo i parametri e le statistiche ufficiali dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro, è il più alto tra le diverse regioni del mondo, 12%, contro la media mondiale del 6,1% (ILO Report 2014). Stesso primato per la disoccupazione giovanile, al 18,5%, contro la media mondiale del 13%. La regione registra ancora un tasso di analfabetismo del 19%, particolarmente concentrato nelle zone rurali e tra la popolazione femminile, discriminata nell'accesso all'istruzione ed al mercato del lavoro.
Le donne rappresentano solamente il 21% della forza lavoro nella regione, con un tasso di disoccupazione doppio rispetto a quello degli uomini. Come conseguenza dell'assenza di politiche sociali e di rispetto dei diritti umani fondamentali, il lavoro minorile continua ad essere ai livelli proporzionalmente più alti tra le diverse regioni del mondo, ed è oggi stimato,vista l'assenza di dati ufficiali, in circa 15 milioni di minori impegnati nell'economia informale. Il fenomeno migratorio coinvolge circa 25 milioni di persone. Immigrati senza diritti ed in condizioni disumane, simili a quelle dell'epoca feudale, provenienti dall'Asia o dal centro Africa. Emigrazione di giovani diplomati verso l'Europa, o di intere comunità che fuggono dalle guerre in cerca di rifugio e di una nuova vita, come stiamo assistendo lungo le coste del Mediterraneo.
Nel documento costitutivo della nuova organizzazione sindacale araba si sottolinea la restrizione delle libertà e dei diritti, come la fragilità dei processi di riforma e di modernizzazione delle istituzioni e dell'apparato statale, come la assenza della cultura al confronto ed al dialogo politico e sociale, spesso sostituito da soluzioni violente con repressione del dissenso e delle minoranze. Si segnala ancora come la corruzione ed i monopoli siano frutto dello stesso sistema dominato da “regimi arabi dispotici” e come gli interessi internazionali sulla regione, a partire dalla guerra in Afghanistan, abbiano provocato l'ascesa del terrorismo, disperdendo migliaia di combattenti armati che, rientrati nei loro paesi, hanno diffuso settarismi e terrorismo.
Stati che ancora non garantiscono indipendenza ed imparzialità del sistema giudiziario, che non hanno ratificato, nella gran parte dei casi, le convenzioni e gli accordi internazionali che assicurerebbero alle singole persone ed all'insieme della collettività, la protezione internazionale dei propri diritti (politici, civili, economici, sociali, culturali). La libertà di associazione ed il pluralismo sindacale è riconosciuto ed applicato in pochi paesi: solamente in Marocco, Mauritania e Tunisia. Per i lavoratori e le lavoratrici dei servizi pubblici in molti casi è proibito organizzare il sindacato. Il diritto di sciopero è considerato in modo altamente restrittivo se non proprio negato in molti paesi della regione. Il contratto collettivo nella maggioranza dei casi è considerato un diritto regolato da leggi ordinarie e non costituzionali, quindi, lasciato alla discrezionalità del momento e del governo di turno.
Ed è in questo contesto ed in questo quadro politico, sociale ed economico che la CSI ha deciso di costituire la nuova struttura sindacale “paesi arabi” come risposta all'esigenza di maggiore democrazia ed indipendenza, radicamento ed espressione dei luoghi di lavoro, pluralismo e libertà di associazione. Un percorso, questo, che si è già dovuto misurare con la vecchia struttura regionale dei paesi arabi (ICATU/CISA) legata ai passati regimi, oggi in profonda crisi, ma sugli scudi per difendere il primato della rappresentanza sindacale nel mondo arabo su posizioni nazionalistiche e di ostentata dipendenza dal passato quadro istituzionale. Con la caduta dei regimi in Libia ed in Egitto, la Unione Generale dei lavoratori d'Algeria (UGTA) è l'unica realtà di rilievo, per la sua storia e per i suoi quasi 2 milioni di affiliati, in grado di mantenere in vita questo soggetto, visto e vissuto come massima espressione del sindacato unico, di emanazione statale e nazionalista, contrapposto alle rivoluzioni arabe ed al processo di costituzione dei sindacati indipendenti e delle libertà politiche e sociali. E saranno molto probabilmente le future scelte di questa organizzazione, l'UGTA, comunque affiliata alla CSI, a condizionare i nuovi assetti sindacali della regione.
Dei 17 sindacati che hanno aderito alla costituzione della struttura regionale dei Paesi Arabi della CSI, ben 6 erano affiliati alla vecchia ICATU/CISA, favorendo così il processo di costituzione della nuova organizzazione regionale della CSI, ma nello stesso tempo condizionandolo. Sindacati come quello della Tunisia, della Giordania e della Palestina, da un lato, hanno dato autorevolezza al percorso delle riforme e del terreno della democrazia, dall'altro, possono costituire un freno al rinnovamento ed alla crescita delle nuove generazioni e dei sindacati nati sull'onda delle primavere arabe - vedi Egitto, Bahrain - e di quei sindacati che con fatica si muovono in forma autonoma ed indipendente, in contesti politici di formali aperture alla libertà sindacale come sono i casi di Marocco, di Mauritania ed in qualche modo dell'Algeria.
In particolare, durante il congresso, si è affermato il ruolo protagonista e per certi aspetti egemonico del sindacato tunisino sull'intero quadro sindacale della regione, forse sproporzionato rispetto alle altre esperienze sindacali che, anche se meno note, rappresentano iniziative di apertura e di contrasto ai regimi repressivi ed autoritari della regione, che andrebbero valorizzate, legittimate e tutelate nel quadro regionale ed internazionale. Certamente pesa il ruolo che l'UGTT sta giocando nel processo democratico tunisino, dove la “rivoluzione dei gelsomini” sembra avere prospettive più positive che in paesi limitrofi.

All'appuntamento costitutivo dell'ATUC (Arab Trade Union Confederation) hanno partecipato 17 centrali sindacali provenienti da 11 paesi e in rappresentanza di circa 3 milioni di lavoratori e lavoratrici. L'assemblea congressuale, composta da 58 delegati, ha eletto il Consiglio Generale, composto da 32 persone in rappresentanza di tutti i sindacati membri.
Quindi, dopo una difficile e tesa mediazione tra tutte le delegazioni presenti, il Consiglio Generale ha eletto il Presidente, Hassine Abbassi della UGTT della Tunisia, il Segretario Esecutivo, Mustapha Tlili (tunisino, responsabile dell'Ufficio della CSI di Amman), il 1° Vice-Presidente, Shaer Shaed del sindacato palestinese PGFTU, la 2a Vice-Presidente, Khatoon Jaafar Rashed Ali Alaradi, del sindacato del Bahrain, GFBTU. L'accordo finale tra le delegazioni, viste le diverse opinioni e proposte rispetto all'assetto della direzione politica della nuova struttura regionale, ha previsto che Presidente e Segretario Esecutivo abbiano gli stessi poteri e stesso ruolo di portavoce.
Inoltre, a conferma della delicatezza e della difficoltà incontrata nella definizione degli incarichi, il Consiglio Generale ha deciso di creare un Comitato Esecutivo composto da Presidente, Segretario Esecutivo, i due Vice-Presidenti e dai due rappresentanti dei Comitati Donne e Giovani, che ogni due mesi si riunirà per valutare lo stato dell'arte. Tutto ciò per un periodo di un anno, dopo di che si tornerà a congresso per rivedere lo statuto e per nuove elezioni.
La CGIL – che ha fortemente sostenuto, nel dibattito interno alla CSI, la costituzione della nuova struttura – ha manifestato il suo apprezzamento per per la realizzazione del regionale arabo e confermato la sua tradizionale collaborazione con i sindacati democratici ed indipendenti dell'area, congratulandosi con la direzione politica eletta ed augurando a tutte/i un buon lavoro di fronte alle grandi sfide comuni che ci aspettano.