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Nella notte del 4 marzo 2012 la tragedia: un ragazzo di 30 anni, Matteo Armellini, viene travolto dal palco in allestimento per il concerto di Laura Pausini, al Palacalafiore di Reggio Calabria. Cinque anni dopo c'è un processo in fase di stallo, che rischia seriamente di finire in prescrizione. A raccontarlo è la madre del giovane, Paola Armellini, parlando ai microfoni di RadioArticolo1.
Sul banco degli imputati, per il crollo del palco, ci sono una società e sette persone: organizzatori, progettisti e responsabili della sicurezza per l'allestimento. Un iter giudiziario che è partito nell'ottobre 2014. All'inizio del processo la madre ha rifiutato il risarcimento: "Mi è stata offerta una cifra - racconta - con gli assegni già pronti in aula, ma ho detto no. Non l'ho fatto per un gioco al rialzo, naturalmente, ma perché penso che sia prima necessario celebrare il processo e definire le responsabilità, poi se si riterrà necessario stabilire un rimborso. Non mi è sembrato giusto - però - offrire del denaro come primo atto, perché così si rischia di non accertare le responsabilità. Rifiutare è un modo per rafforzare il processo e arrivare a una risposta".
Un processo colpito da molte difficoltà, anche tecniche, che l'hanno praticamente bloccato. Nel 2016 sia il giudice che il pubblico ministero sono stati trasferiti in altre sedi, come può accadere nelle procure. L'udienza dell'11 luglio 2016 non c'è stata, perché la procura ha addirittura chiuso per un blackout. Poi, con l'arrivo di un nuovo giudice e pm, i testimoni sono stati riascoltati secondo un diritto di cui può avvalersi la difesa. "Quando cambiano gli incaricati - spiega Paola - la procedura dice che i testimoni che hanno già deposto possono essere riascoltati: è andata esattamente così, l'avvocato di un imputato ha chiesto e ottenuto di risentire tutti". A questo si aggiungono molte notifiche che non vengono ritirate e testimoni che non si presentano. Infine, è cambiato anche il secondo pm e ne è arrivato un terzo.
Insomma sul procedimento per fare luce sulla morte di Armellini si allunga l'ombra della prescrizione. "Il mio più grande timore è che non vada in porto - riflette -. L'anno scorso ho consegnato 133mila firme al ministro Poletti, per chiedere più sicurezza, ma non ho saputo nulla. Ora mi concentro sul processo: siamo ancora agli interrogatori dei presenti all'incidente, la parte tecnica non è neanche iniziata. A quanto si capisce, a provocare il decesso di mio figlio sarebbe stata una serie di concause, ma niente è ancora stato discusso in aula".
La madre lancia un appello: "Tutti coloro che attraversano un'esperienza come la mia, e temono che il reato sia prescritto, devono mettersi insieme per chiedere che la prescrizione si fermi al primo grado. Altrimenti le vittime vengono uccise la seconda volta".
La singola vicenda si lega poi al nodo complessivo delle condizioni di lavoro nell'industria culturale e negli spettacoli dal vivo, dai concerti agli stadi, dai teatri alla produzione cinematografica e televisiva. Qui - per esempio - lavoratori si arrampicano ad altezze considerevoli o entrano in contatto con l'elettricità. "Il pubblico vede solo lo spettacolo finale, ma spesso dietro ci sono procedure non corrette. Per questo bisogna garantire che i processi finiscano e non si interrompano con la prescrizione - conclude Paola -: a quel punto, forse, i colossi che sono dietro agli eventi dovranno mettere in campo una maggiore responsabilità".
(a cura di E.D.N.)