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La storia inizia nel 1994: il governo italiano acquista una serie di prodotti derivati dalla banca d'affari americana Morgan Stanley, che era anche consulente del Tesoro. Nel corso del tempo, il rapporto tra il ministero dell'Economia e la banca ha portato a un danno erariale di 4 miliardi di euro, per colpa - soprattutto - della clausola che consentiva a Morgan di ottenere la chiusura anticipata dei contratti, esercitata nel 2011. La Corte dei conti ha aperto un procedimento per danno all'erario: la Federconsumatori sostenuta dalla Cgil annuncia un atto di intervento adesivo, che si affianca al ricorso proposto dalla procura generale del Lazio.
La prima udienza è fissata al 19 aprile. È quanto illustrato oggi (30 marzo) a Roma, nella conferenza stampa del sindacato insieme all'associazione dei consumatori in corso d'Italia. Una vicenda complessa e finora sconosciuta, che è stata ricostruita nel dettaglio per intervenire sul singolo caso e insieme lanciare un allarme generale: un governo può intervenire specularmente sul debito pubblico di un Paese? Certamente no, e per impedirlo bisogna rendere trasparente la discussione. Altrimenti, se i governi "scommettono", a rimetterci sono sempre i cittadini.
Nel particolare, il procedimento si delinea contro Morgan Stanley, l'ex dirigente del Tesoro Maria Cannata, il dirigente del Tesoro Vincenzo La Via e gli ex ministri del Tesoro Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli. Il danno richiesto è pari a 2,7 miliardi in capo a Morgan Stanley, e di 1,2 miliardi in capo ai dirigenti del Mef che hanno gestito il debito: così si arriva a 4 miliardi. "Nel '94, con l'acquisto dei derivati da Morgan Stanley, già si configurava un forte conflitto di interessi", ha esordito il presidente di Federconsumatori, Emilio Viafora. "La banca era anche consulente del Tesoro. Inoltre non ha mai reso noti i rischi specifici dei derivati, al contrario si è riservata una clausola di rescissione unilaterale del contratto: clausola esercitata quando il Paese era più vulnerabile, nel 2011 dopo lo scoppio dello spread. Allora il governo Berlusconi prima di dimettersi ha lasciato la polpetta avvelenata: non ha fatto niente per frenare le pretese di Morgan Stanley, sostenendo che una resistenza al pagamento poteva sfiduciare i mercati, teoria del tutto inconsistente".
La Corte dei conti si è quindi mossa per recuperare il danno: "La nostra azione - ha aggiunto Viafora - è stata decisa perché rappresentiamo i cittadini italiani, coloro che pagano il debito, e perché ci sentiamo parte del presidio di legalità del Paese. Inoltre queste operazioni hanno ricadute sociali significative sulle fasce più deboli".
Facendo i conti, a fronte di oltre 4 miliardi incassati da Morgan Stanley, il Tesoro ha incassato circa 80 milioni. Se fosse lecito scommettere, sarebbe una "cattiva scommessa". E non c'è solo MS. Attualmente i contratti derivati in essere compongono un capitale nozionale di 120 miliardi, con clausole di estinzione anticipata pari a 31 miliardi di euro: se per ipotesi tutti esercitassero la clausola nello stesso momento, lo Stato dovrebbe pagare l'equivalente di una Finanziaria. Lo ha spiegato l'avvocato Roberto D'Atri, incaricato del ricorso per la Federconsumatori: "Detto in altre parole, è come fare la roulette con il debito pubblico. Ciò che stupisce veramente è che nel 2011 il governo italiano ha consegnato i 4 miliardi a Morgan Stanley senza neanche discutere".
"La Cgil sostiene il procedimento e lo rende pubblico", ha esordito il segretario generale Susanna Camusso. "Le nostre ragioni sono chiare: le scelte sbagliate di investimento, in termini di debito, determinano un costo per il Paese che si ritrova nelle Finanziarie e distoglie le risorse da dove c'è più bisogno. Si tagliano pensioni e ammortizzatori, non si prevedono misure di contrasto alla crisi mentre si pagano i debiti finanziari contratti con le banche d'affari". Cifre alla mano, la manovra del 2017 sulle pensioni è costata meno dell'estinzione dei derivati con MS fatta dal governo Monti. Il danno equivale all'universalità degli ammortizzatori, o piuttosto "a un intervento per rendere più agevole il percorso delle pensioni invece che alzare l'età".
Di fondo c'è la questione dei rapporti tra le banche e gli esecutivi. "Può Morgan Stanley essere consulente del ministero dell'Economia? - si è chiesta Camusso -. Una discussione che si faceva all'inizio della crisi, ma che poi è svanita. Le priorità del governo non possono essere determinate dalle banche d'affari, che non rispondono certo agli interessi generali. Tra l'altro, i governi hanno dato indicazione di contrattare i derivati nelle amministrazioni locali, ma non a livello nazionale, un vero mistero".
Insomma, un esecutivo non può lanciarsi in azioni speculative sul debito pubblico: "È un'attività che non si può esercitare - ha proseguito il segretario -, per giunta senza analisi dei rischi e assoldando come consulente colui che ti vende il prodotto. Ma, prima di questo, alla base resta il fatto che non si può fare. È una questione di buon governo. Il ricorso è particolarmente attuale perché la tendenza continua anche oggi: nessuno, al ministero dell'Economia, si occupa di ricontrattare i derivati, non c'è valutazione del rischio, ci si affida totalmente alle banche d'affari". Il tema merita visibilità, ha concluso, "perché vogliamo che le banche non l'abbiano vinta: va riconosciuto il danno che hanno provocato. In generale il dibattito sui derivati e su come i governi trattano il debito pubblico deve farsi trasparente, è essenziale per iniziare ad agire diversamente".