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Una firma “storica”, per il nostro paese, quella del recepimento dell’Accordo quadro europeo da parte di Confindustria, Cgil, Cisl e Uil. L’intesa, che affronta su base volontaria i temi delle violenze e delle molestie sul lavoro in tutte le loro forme, segna un fondamentale passo in avanti culturale e sociale, rappresentando un’indispensabile premessa per progressi concreti nei luoghi di lavoro. Una dichiarazione di civiltà per gli alti principi che enumera, che vogliamo definire anche “completa” perché parte dalla promozione della cultura del rispetto, passa per la prevenzione e arriva alla presa in carico delle vittime.
Rispetto all’accordo europeo originale, le parti italiane si sono accordate per un’ulteriore fase da concludere entro il prossimo aprile. Tale fase si svolgerà a livello territoriale e prevede un’intesa tra associazioni datoriali e sindacali locali circa le misure concrete da attuare, soprattutto, ma non solo, per il sostegno legale e psicologico alle vittime. È plausibile (ma è una nostra supposizione) che tale scelta derivi dalla considerazione che per la realtà italiana, caratterizzata da imprese medie, piccole e micro, sia preferibile affidare a strutture datoriali o sindacali (o comunque terze e collettive) la gestione di assistenza legale e psicologica alle vittime, gestione che potrebbe invero risultare troppo onerosa o complicata per la singola azienda. La modalità prevista dovrebbe consentire un’assistenza qualificata e “terza” rispetto alle parti in causa, a costi contenuti e con sforzi organizzativi ridotti. L’impegno delle parti sociali ad accordi locali non pregiudica comunque la facoltà della singola impresa di mettere a punto proprie procedure.
Ma quali sono le possibili azioni concrete contro i fenomeni affrontati dall’accordo? Per il mobbing e le molestie sessuali la prima prevenzione è senza dubbio culturale, da attuarsi con azioni di sensibilizzazione, campagne informative e/o moduli formativi. È necessaria una presa di posizione netta e inequivocabile dei vertici aziendali su comportamenti e atteggiamenti non ammessi. È inoltre dimostrata l’utilità degli “sportelli di ascolto” e di figure come il “consigliere di fiducia”. Generalmente lo sportello di ascolto offre un’assistenza al singolo su varie problematiche lavorative per aiutarlo ad analizzare la situazione, attivare le risorse proprie e sviluppare una strategia. Al consigliere di fiducia ci si rivolge per esporre un comportamento scorretto e chiedere un intervento con una “procedura informale”: di solito il consigliere ha la possibilità di convocare l’altra parte (o le altre parti) in causa, attuando una mediazione o un avvertimento a non proseguire con il comportamento.
Nel concreto, il mondo del lavoro ci offre esempi variegati: talora anche gli operatori dello sportello possono intervenire con la controparte, oppure vengono formati i colleghi pari grado affinché possano offrire un primo aiuto e/o allertare i servizi specialistici interni dedicati. Ricordiamo che nei casi più gravi di molestie e mobbing può servire un intervento medico e psicologico o psicoterapeutico. Se la procedura informale non soddisfa le parti, va consentita la segnalazione ufficiale per un’indagine interna con azioni disciplinari, e ovviamente è sempre possibile adire le vie legali.
Va detto che talora il lavoratore può interpretare come mobbizzanti comportamenti che non lo sono: in questi casi è necessaria un’azione di chiarimento. Dall’altro lato, spesso gli autori di comportamenti mobbizzanti o molestie non sembrano rendersi conto della gravità e dell’impatto delle loro azioni. Ciò è riconducibile a specifici meccanismi cognitivi (i cosiddetti “meccanismi di disimpegno morale”), oltre che a un certo tipo di cultura.
Per quanto riguarda aggressioni e violenze da parte di utenza, clientela o terzi nei confronti di lavoratori, queste sono in preoccupante aumento, colpendo soprattutto alcuni settori e le mansioni a contatto con il pubblico. Si va da reclami veementi a minacce e abusi verbali, fino all’aggressione fisica. In via preliminare, va messa a punto la modalità di registrazione degli episodi ed effettuata un’analisi dei rischi. Le misure preventive e di gestione possono comprendere modifiche strutturali dei luoghi di lavoro (ad esempio, degli sportelli al pubblico) e l’installazione di telecamere e altri dispositivi. Può essere utile intervenire sulle procedure di lavoro per rendere il servizio più efficiente e più evidenti ai clienti i vari passaggi, mentre nei casi estremi è indispensabile rafforzare la vigilanza, anche con il concorso delle autorità.
Queste misure servono soprattutto con una clientela particolare o terzi con intenzioni di per sé delinquenziali (ad esempio, con l’intento della rapina). Spesso, tuttavia, il lavoratore si trova ad affrontare clienti o utenti che non sono soggetti delinquenziali, ma persone arrabbiate ed esasperate. In questi casi, oltre al miglioramento del servizio e della comunicazione (ad esempio tramite avvisi), è importante che l’azienda abbia previsto procedure e formato i lavoratori. Esistono, infatti, strategie di gestione degli utenti difficili, attraverso tecniche di comunicazione e di comportamento non verbale appropriato, utili per evitare la degenerazione e l’escalation.
Per i lavoratori più esposti, in particolare, suggeriamo la formazione alle tecniche di de-escalation (ossia riduzione, diminuzione), modalità comportamentali volte a diminuire l’intensità della tensione nella relazione interpersonale per riportare la situazione critica a un livello di maggiore sicurezza, cercando di ristabilire il contatto su un livello più razionale. In primis si formano i lavoratori a riconoscere i motivi del perché una persona può essere aggressiva, se questi sono riconducibili a qualcosa che “non va” nello specifico momento oppure se hanno origini “più lontane”, non legate tanto al qui e ora ma a esperienze pregresse e negative vissute dalla persona (compresi gli stati alterati, come l’ubriachezza).
Poi si insegna al lavoratore a intervenire sul piano della relazione interpersonale, curando i momenti iniziali, ascoltando e fornendo soluzioni senza sottovalutare il problema, non coinvolgendosi emotivamente né cercando di stabilire ragioni e torti. Lo scontro non va accettato, trovando invece punti in comune o fornendo soluzioni concrete al cliente/utente. Utile è la tecnica del “talk down”, che porta al progressivo contenimento di una situazione potenzialmente “aggressiva” con attenzione alle parole usate e a come si dicono. Le buone parole e un tono di voce più calmo favoriscono la riduzione della tensione, permettendo di ristabilire un primo livello di comunicazione. È bene non alzare la voce, non contrastare, non rispondere a domande tendenziose o provocatorie, ma semplificare il più possibile. È consigliabile anche usare con prudenza frasi o parole al negativo, gli imperativi, rimandare il problema o giustificarsi.
Per affrontare i casi di aggressività accentuata, anche fisica, si formano i lavoratori alle pratiche di de-escalation non verbale e volte alla sicurezza reciproca: mantenere una certa distanza dall’aggressore, non stare “faccia a faccia” per non esporsi troppo, mantenere mani e braccia libere e pronte a eventuali protezioni, non gesticolare. Dove possibile, è meglio evitare di trovarsi soli, conoscere gli spazi e i luoghi per ogni evenienza d’uscita o di ricerca d’aiuto.
Alla fine degli eventi aggressivi è normalmente bene che il lavoratore torni al lavoro prima possibile. Va suggerito, inoltre, di non colpevolizzarsi e di confrontarsi con colleghi e superiori, redigendo sempre un report sull’accaduto affinché l’azienda possa rivedere programmi e procedure. Se le tecniche non rispondono, il lavoratore deve sapere che non serve fare gli eroi e che è meglio chiamare colleghi e/o superiori, allontanare le persone non necessarie, chiamare servizi esterni preposti alla sicurezza. I percorsi formativi, inoltre, devono comprendere la lettura delle emozioni altrui e il riconoscimento e la gestione delle proprie emozioni.
Laura Barnaba è addetta al servizio di prevenzione e protezione (Aspp) e psicologa del lavoro (Roma). Paolo Fusari è psicologo del lavoro (Trieste).