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Il settore dell'automotive e della mobilità occupa un posto di assoluta rilevanza nel panorama dell'industria europea. Ciò è dimostrato tanto dal numero di addetti, che oggi si attesta intorno ai 13 milioni, quanto dal contributo del settore alla bilancia dei pagamenti dell'Unione europea (circa 90 miliardi di saldo attivo negli anni 2016 e 2017). Ma l'industria dell'automotive è decisiva, oltre che per gli spostamenti individuali, anche per i servizi legati al trasporto pubblico e alla consegna delle merci nel settore privato. Si tratta di attività che mostrano spiccate tendenze di crescita. Gli studi e le ricerche della Commissione europea e di organizzazioni specializzate hanno stimato che dal 2010 al 2050 il trasporto di passeggeri crescerà di circa il 42% e quello delle merci del 60%.
L'insieme del settore e l'industria europea e italiana della mobilità dovranno affrontare cambiamenti strutturali, sia nelle attività di produzione e manifattura che nella complessiva catena del valore. Le sfide che l'automotive ha di fronte riguardano diversi ambiti: lo sviluppo delle tecnologie digitali e la spinta alla robotizzazione, i grandi progressi nella guida automatica, l'impegno degli Stati a perseguire gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, la necessità di ridurre l'impatto sull'ambiente e sulla salute delle emissioni inquinanti dei veicoli, i nuovi stili di comportamento verso l'automobile da parte dei consumatori e, più in generale, di una popolazione europea che invecchia e la cui età media è in forte aumento.
Il rapporto finale del gruppo di lavoro Gear 2030, gruppo di lavoro sul futuro dell'automotive in Europa, istituito dalla Commissione e attivo dal 2015 al 2018, ha chiaramente indicato come lo sviluppo dei veicoli elettrici sia fondamentale nella strategia verso i veicoli a emissioni zero (zero emissions vehicles, Zev), insieme al progresso nelle altre emergenti tecnologie diverse dal motore elettrico. Si tratta, nel complesso, di un grande impegno per rendere l'industria e i modelli di business legati all'automotive e alla mobilità compatibili con un nuovo concetto produttivo circolare e sostenibile. Impegno quanto mai necessario visto l'impatto ambientale attuale del settore su scala globale. Basti pensare che i veicoli a motore posseduti da privati producono circa il 90% delle emissioni di Co2 nell'insieme del trasporto di superficie, oppure che dalle città con più di 500 mila abitanti viene circa la metà delle emissioni stesse.
È evidente che serve una strategia che vada nella direzione di una mobilità low or zero carbon, con politiche industriali e commerciali integrate per un duplice obiettivo: accelerare la diffusione di tecnologie per veicoli a emissioni zero e incentivare l'acquisto di auto elettriche. Allo stesso tempo, però, servono iniziative che tendano a evitare attività di trasporto non necessarie e scoraggino l'uso di veicoli a combustibile fossile. Le città e gli agglomerati urbani sono il contesto migliore per sperimentare approcci nuovi al tema della mobilità, poiché hanno il potenziale di trasporto pubblico di massa come soluzione alle esigenze di spostamento e poiché la congestione di spazi e tempi nella circolazione stradale delle città fa diminuire sempre più la convenienza a usare mezzi privati.
Bisogna riconoscere che i Paesi dalle economie emergenti e in crescita, in particolare i paesi dell'Oriente, sembrano rispondere meglio a questa sfida. È noto come la Cina stia facendo segnare grandi progressi nei piani di disinquinamento delle sue metropoli, un esperimento che sta per essere replicato in aree urbane a forte congestionamento, in India o in Paesi del continente americano, come Brasile e Messico. È altrettanto noto come il peso sull'economia mondiale dei Paesi dell'Asia e del Pacifico sia in crescita tumultuosa. A conferma di ciò, un solo dato. Il contributo dei paesi Ocse (tra cui l'Italia) alla creazione della ricchezza globale è passato dal 62% del 1990 al 40% di oggi; nello stesso arco temporale, il contributo dell'area del Sud-Est asiatico e del Pacifico è passato dal 12% al 38%.
Se osserviamo la scena mondiale dei veicoli elettrici troviamo una ulteriore conferma dello spostamento verso Oriente, sia per la supremazia tecnologica, sia per le vendite e per i consumi. Nel mondo si sono vendute l'anno scorso circa un milione e 300 mila auto elettriche. Più di 600 mila sono state vendute in Cina, a fronte di circa 100 mila negli Usa e di circa 60 mila in Europa. Il rapporto Gear 2030, inoltre, stima che nel 2050 la produzione di auto in Cina sarà di circa 48 milioni di unità (oggi poco più di 20 milioni) e in India sarà di circa 25 milioni (oggi circa 6 milioni). L'Unione europea dovrebbe passare dagli attuali 15 milioni di auto prodotte a circa 20 milioni, mentre Usa, Giappone e Corea staranno in un range tra i 3 e i 5 milioni di auto prodotte.
Le previsioni sul numero di auto vendute non differiscono di molto rispetto a quelle sulla produzione, con Cina e India che si stima venderanno nel 2050 rispettivamente 47 e 20 milioni di auto e con l'Europa attestata su circa 17 milioni. Il confronto è decisamente a favore della Cina, se guardiamo i dati del 2017 (gli ultimi con cifre certe) circa i finanziamenti delle attività di ricerca e sviluppo sulla e-mobility, la mobilità elettrica. La Cina ha finanziato queste attività con 4,8 miliardi di euro, la Germania con 1,4 miliardi, la Francia con un miliardo, gli Stati Uniti con 147 milioni, la Corea del Sud e il Giappone con circa 100 milioni, mentre purtroppo il dato riguardante l'Italia dice zero.
Per l'Asia, e in particolare per la Cina, si tratta di una leadership tecnologica importante, che conferma lo spostamento verso Oriente del baricentro dell'economia e dell'industria manifatturiera, specie nelle nuove tecnologie e nell'innovazione. A riprova di ciò, in un recente rapporto del Centro europeo di strategia politica, impegnato a esaminare i dati riguardanti le aziende attive nella produzione di pannelli, tecnologie solari e celle per batterie, tra le prime dieci aziende in questo ramo produttivo figuravano nel 2004 quattro imprese giapponesi, due tedesche, una angloamericana, una olandese, una spagnola e una taiwanese. Nel 2018 l'elenco delle prime dieci imprese comprendeva sette aziende cinesi, una coreana, una di Hong Kong e una canadese. È utile sapere, mentre si prende atto che non c'è più un’azienda europea tra i primi dieci produttori mondiali di celle, che ben otto delle prime dieci aziende del ramo non esistevano nel 2010.
Appare chiaro come per l'Europa si ponga con forza il tema del recupero di capacità tecnologica e competitiva, per assecondare nel modo migliore gli sforzi e le politiche di rafforzamento e trasformazione della propria industria dell'automotive. Sino a questo momento, l'iniziativa più significativa che l'Ue ha messo in campo è l’istituzione della European Battery Alliance, Eba, avviata nell'ottobre del 2017. Tra le ragioni che hanno portato la Commissione europea a creare l'Eba c'è senza dubbio la consapevolezza della necessità di colmare il divario tecnologico, di risorse e di investimenti sulle batterie. Ma è di rilievo altrettanto importante la scelta di farlo creando una catena strategica del valore nel campo delle batterie, per costruire una piattaforma industriale in grado di giocare un ruolo di primo piano nel futuro mercato mondiale del settore. Tutti i principali studi su questo ambito convergono nel ritenere che la domanda di batterie conoscerà un aumento consistente e veloce, anche a seguito della spinta verso una mobilità più pulita.
Le stime della Commissione europea dicono che se oggi sono 5 milioni le auto elettriche circolanti, nel 2040 potrebbero sfiorare il miliardo di unità. Se si pensa che le batterie costituiscono circa il 40% del valore di un’auto elettrica, si capiscono il carattere strategico e la valenza economica di questa produzione. Sempre le stime europee, infatti, indicano che il mercato in Europa potrebbe raggiungere il ragguardevole valore di 250 miliardi di euro annui a partire dal 2025 e che, nella strada verso la cosiddetta “neutralità climatica” perseguita dall'Ue, la produzione di batterie può sia assecondare il processo di transizione energetica, sia creare posti di lavoro stabili e di qualità.
Le stesse stime prevedono che per raggiungere gli obiettivi prefissati, in Europa si potrebbero creare dai 20 ai 30 stabilimenti di produzione di celle di batterie, rafforzando al contempo il corrispondente ecosistema. Si prevede anche che nel mondo la domanda di batterie potrà andare dai 78 gigawatt ora di oggi a 4 mila gigawatt ora nel 2040, con l'Europa che per soddisfare la domanda futura di batterie per veicoli elettrici dovrà creare dai 3 ai 4 milioni di posti di lavoro. Com’è evidente, si tratta di obiettivi che possono essere raggiunti solo con ingenti investimenti, sia pubblici che privati. Oggi l'Europa contribuisce soltanto per il 3% alla produzione mondiale di celle, a fronte dell'85% dell'Asia. Se non si irrobustisce la capacità produttiva europea nel campo delle batterie, il rischio è perpetuare nel tempo una dipendenza nella tecnologica e nell'importazione di batterie, oltre che nelle materie prime (grafite naturale, litio, cobalto, nichel) necessarie per la produzione. Materie prime nelle quali, per possesso diretto o per influenza geopolitica nelle aree di estrazione, ancora una volta è la Cina a primeggiare.
Vista sotto questa luce, la scelta di puntare sulla Alleanza della batteria europea acquista una dimensione di prospettiva per il futuro dell'automotive e per l'insieme delle attività europee nel campo della mobilità sostenibile, dell'economia circolare e sostenibile, della giusta transizione energetica. Non è un caso se tutte le principali case costruttrici di auto, non solo europee, hanno aderito alla nuova struttura sulle batterie e hanno attivamente partecipato ai suoi lavori. L'elenco comprende Volkswagen, Renault, Jaguar-Landrover, Bmw, Nissan, Volvo, Daimler, Peugeot e il gruppo Psa. Per quanto riguarda l'Italia, Fca ha aderito nei giorni scorsi (annunciando, tra l'altro, l'intenzione di creare a Torino un polo per le batterie), anche se in realtà ciò che un tempo si chiamava Fiat ha partecipato e continua a partecipare attraverso la presenza del Centro ricerche Fiat e di Powertrain (Cnh). Ma è di grande importanza la partecipazione di altre imprese italiane della produzione e distribuzione di energia, quali Enel e Terna, oltre all'Enea.
Dall'Italia partecipano anche realtà datoriali quali Federchimica e Amma, che rappresentano rispettivamente l'industria chimica nazionale e quella meccanica e della meccatronica. Senza contare ulteriori presenze di rilievo, dal Politecnico di Milano ad Afil (cluster lombardo di manifattura avanzata), da Aster (azienda che promuove lo sviluppo territoriale dell'Emilia Romagna) a Cobat (una piattaforma di servizi per l'economia circolare). Non solo. Nel quadro delle più importanti iniziative volte alla creazione della catena di valore della batteria europea, l'Eba ha avviato a ottobre 2018 un partenariato interregionale in materia di materiali avanzati per batterie destinate alla elettromobilità. Capofila è la Slovenia, insieme alle regioni Castiglia e Léon, Andalusia e Paesi Baschi (Spagna), Eindhoven (Olanda), Alvernia-Rodano-Alpi e Nuova Aquitania (Francia).
Obiettivo del partenariato è “accelerare la produzione in serie e la diffusione di materiali avanzati e di celle di batterie, basate su tecnologie sostenibili e competitive, per la mobilità e le batterie stazionarie in tutta Europa entro il 2025”, creando un canale per progetti di investimento nelle imprese. Il partenariato sta portando a termine un esercizio di definizione dell'ambito di applicazione nelle aree di interesse comune finora individuate, che includono i seguenti aspetti:
• produzione di celle innovative per le batterie di quarta generazione, produzione di materiali avanzati, fabbricazione e produzione di celle (capofila Baviera in Germania e regioni partner in Francia, Belgio, Spagna, Norvegia, Germania);
• estrazione e trattamento sostenibile delle materia prime (capofila Castiglia e Léon in Spagna e regioni partner in Francia e Norvegia);
• riciclaggio delle batterie agli ioni di litio esistenti (capofila Baviera in Germania, regione partner le Fiandre in Belgio);
• batterie a base liquida (capofila Paesi Baschi e regione di Valencia in Spagna, regioni partner in Spagna, Slovenia, Finlandia, Germania);
• rete di centri di ricerca e sperimentazione (capofila Slovenia, regioni partner in Norvegia e Spagna);
• batterie agli ioni di litio migliorate (capofila Alvernia-Rodano-Alpi in Francia, regioni partner in Belgio, Germania, Francia).
Come si può leggere nell'allegato alla relazione della Commissione europea sul valore strategico delle batterie in Europa, il partenariato – aperto a tutte le regioni europee che manifestino l'interesse a diventarne membri – intende realizzare “investimenti congiunti concreti per l'innovazione nei suddetti settori (e possibilmente anche in altri campi)”. C'è da augurarsi che dall'Italia (che sino a questo momento non sembra aver avuto un ruolo particolarmente attivo nel progetto dell'Alleanza della batteria europea, come dimostra l'assenza di regioni italiane nei progetti sin qui definiti) giungano presto segnali e atti concreti per essere parte di un’iniziativa industriale e di ricerca decisiva per una mobilità del futuro e un settore dell'auto all'insegna di efficienza, alto valore tecnologico, sostenibilità.
Fausto Durante è coordinatore Consulta delle politiche industriali e dell'innovazione Cgil nazionale