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Un nuovo studio, pubblicato su Nature Communications, ha dimostrato come bastino dai 2 ai 10 secondi per far diventare virale un contenuto grazie ai cosiddetti social bot, software che si comportano in rete e sui social come fossero utenti reali. Ma non lo sono. Lo studio coordinato dal ricercatore Filippo Menczer e condotto da ricercatori italiani dell’Università dell’Indiana a Bloomington – altro dato su cui varrebbe la pena riflettere – ha analizzato 14 milioni di tweet e 400 mila articoli condivisi su Twitter tra maggio 2016 e marzo 2017. È bene ricordare che le elezioni presidenziali negli Usa si sono tenute l’8 novembre 2016. Lo studio ha dimostrato il ruolo dei bot nella diffusione delle fake news, ma anche quello di chi più o meno inconsapevolmente condivide le fake.
In pratica, i bot vengono attivati per rilanciare il contenuto falso in maniera massiva sui social, perché di solito si tende a dare maggiore credibilità a messaggi che vengono veicolati da più persone. In questo modo, un po' per l'effetto echo chamber tipico dei social – vediamo soprattutto i contenuti postati da coloro con i quali interagiamo maggiormente, finendo in una sorta di bolla –, un po' per l'ampiezza di diffusione e per i linguaggi usati che toccano molto le corde dell'emotività e quindi odio e rabbia, anche ignari utenti finiscono per diventare veri e propri “untori”.
Un caso di scuola si è presentato lo scorso 22 novembre su Facebook e su alcune chat di Whatsapp, sulle quali circolava un commento pubblicato su un sito di informazione con il quale si insinuava che la manifestazione di protesta organizzata a Roma a fine ottobre da un team di donne sconosciute e comunque non note agli ambienti romani della politica, avesse in realtà ben altri organizzatori. E tra questi, anche i Casamonica che di lì a poco si sarebbero visti abbattere le proprie ville dall'amministrazione guidata dalla Raggi. Il pezzo titola testualmente “Alla manifestazione contro Virginia Raggi in piazza del Campidoglio c’erano anche i Casamonica?”. Immediata, per forza di cose, la reazione da parte di chi sa cosa voglia dire vivere a Roma in questi anni e che magari è anche sceso in piazza contro una sindaca che non sta davvero brillando per i risultati ottenuti.
Ma, al netto delle implicazioni politiche, proviamo a guardare alla vicenda come a uno dei tanti casi di misinformation o forse solo di giornalettismo provocatore. Perché la notizia strutturata in maniera da sollevare forti dubbi sugli effettivi organizzatori dell'evento, viene veicolata da un sito di informazione, ripresa dall'autore su Facebook e quindi rilanciata da diversi profili e pagine che l'hanno resa virale. In questo modo, chi la condivide, a meno di essere particolarmente attento, non è più in grado di ricostruirne origine e soprattutto attendibilità.
Proviamoci noi. L'autore è un certo Clairemont Ferrand, titolare di una pagina Facebook senza foto o info, e tra gli autori del sito Silenzi e Falsità, che pubblica l'intervento. Nella home del sito ci sono diversi canali, ma solo in basso, visibile esclusivamente a chi è determinato a trovare informazioni, il “Chi siamo”, primo elemento che lascia sorgere in chi legge qualche sospetto circa la serietà della testata. La presentazione, che la dice già lunga, è datata 22 luglio 2018 e recita “Informare i cittadini è la nostra missione: denunciamo i Silenzi e le Falsità dei mainstream media. Il nostro team è operativo 7 giorni su 7 per produrre notizie di qualità che forniscano al lettore una visione a 360 gradi su ciò che accade nel mondo....”.
La prima notizia davvero importante però la ricaviamo dal nome del direttore della testata: Marcello Dettori, fratello di Pietro Dettori, uomo della ditta Casaleggio e della piattaforma Rousseau, oggi responsabile della comunicazione, social ed eventi del vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio. A questo punto sappiamo già molto e, soprattutto, ci è sufficientemente chiaro lo spirito autentico del post e del sito, fare propaganda per il Movimento 5 Stelle. Una conclusione a cui approdiamo senza ombra di dubbio scorrendo via via tutti gli altri pezzi pubblicati. Il nodo, a questo punto, è: quante persone vedendo questo post su Facebook avrebbero tempo e voglia da dedicare alla ricostruzione dell'autore dell'intervento e quindi all’autorevolezza della fonte? E come difenderci dall'attacco combinato fake news e bot?
I ricercatori dello studio hanno individuato una prima via d'uscita. È sufficiente cancellare il 10 per cento degli account che hanno la maggior probabilità di essere bot per avere una drastica riduzione all'effetto virale dei contenuti falsi. Sarebbe quindi sufficiente potenziare gli algoritmi che individuano i potenziali bot e bloccarli per avere un primo, ma non banale effetto pulizia in rete. Un primo passo non definitivo che però oggi gli stessi social si rifiutano di compiere, perché ridurrebbe la loro forza: il traffico.
Esmeralda Rizzi è responsabile social Cgil nazionale