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Mica facile mettersi alle spalle Berlusconi. Abbandonare l'epoca di B. e uscirne "a sinistra": manovra per niente scontata. Il tramonto di un personaggio, ma forse non del costume col quale ha vestito l'Italia (il cosiddetto "berlusconismo") è pieno di insidie e imprevisti. C'è chi pensa che per riuscirci si debba attraversare un ossimoro politico: imboccare una "porta stretta" cercando di farci passare attraverso l'alleanza più larga possibile. Tenere insieme i terzisti Fini e Casini con l'Idv di Di Pietro e SeL di Nichi Vendola. Lo pensa ad esempio Miguel Gotor, docente di storia moderna all'Università degli Studi di Torino, autore di monografie su Aldo Moro ed editorialista di Repubblica. Gotor assegna questo compito "costituente" a un centrosinistra al cui timone, e al cui centro, colloca saldamente il Partito democratico, entro una contesa che per lo studioso sarà ancora nel solco prevalente del bipolarismo. Un Pd, quello auspicato da Gotor, privo di velleità "frontiste" e aperto al dialogo coi moderati (non solo i partiti, ma la società, le imprese, ecc.). Un partito, infine, che lo storico considera rafforzato dal recente voto amministrativo e dai referendum. È questo il quadro?
Gotor Il quadro è questo e dobbiamo collocarlo nel lungo periodo. Il Partito democratico ha una responsabilità diciamo pure "storica", se non abbiamo timore a utilizzare termini importanti, e cioè quella non solo di battere Berlusconi ma di costruire intorno a sé un nuovo principio di equilibrio del sistema politico, entro il quale il Pd stesso debba essere il fulcro in quanto partito "temporaneamente" all’opposizione che si candida al governo. Non solo vincere, quindi, ma costruire una governabilità credibile.
Il Mese Con una coalizione così estesa? Governare insieme a Casini, Di Pietro e Vendola?
Gotor È quella la porta stretta. Del resto l'alternativa a Berlusconi non la si può costruire in base alla logica dell'autosufficienza mostrata nelle elezioni del 2008. La cosiddetta vocazione maggioritaria ha portato il Pd a gonfiarsi dal punto di vista della quantità dei voti ma non della qualità della sua azione politica. Era una scelta che nasceva dal fallimento dell’Unione. Ma ora non potrebbe funzionare. E non funziona neppure una logica frontista dove si proceda ribaltando l’avversario, cioè dividendo la contesa in due sole fazioni: il berlusconismo e l'antiberlusconismo. La linea politica che sta adottando il Pd da due anni a questa parte sta dando dei frutti, nonostante lo scetticismo che accompagna la sua azione. Ma c’è ancora molto da fare per costruire un’alleanza il più possibile larga e stabile che coinvolga in un patto repubblicano, costituzionale, tutte le forze disponibili. È un passaggio molto difficile e carico di instabilità: il passaggio che porterà l’Italia oltre e fuori da Berlusconi.
Il Mese Insomma la santa alleanza?
Gotor Non amo questa formula. Non si pensi a un qualcosa di politicistico, ad accordi di vertice. Nemmeno io li vedo tutti insieme. Credo che nel prossimo passaggio elettorale il Terzo polo correrà autonomamente. Però il Pd, seppure questo avvenisse, dovrebbe continuare a svolgere una interlocuzione, essere presente nel campo dell’elettorato moderato, che non è un campo di sigle o di leader, ma è occupato da forze, associazioni, gruppi imprenditoriali ai quali il Pd deve restare aperto. È proprio questo ciò che non si vuole. Il sogno dei poteri forti italiani è quello di portare il Pd a sinistra, isolarlo nell’alleanza stretta con Di Pietro e Vendola e aprirsi uno spazio elettorale al centro. Questo dev’essere evitato.
Il Mese Le ultime amministrative, con i casi di Napoli, Milano, Cagliari, qualche interrogativo lo pongono. Il patto di fiducia tra il Pd e l'elettorato di centrosinistra non è proprio solidissimo. Una fiducia intermittente non potrebbe essere compromessa da un eccesso di dialogo col centro? Come lo spieghi agli elettori che dovrebbero essere il tuo zoccolo duro, e che chiedono un'azione più radicale sui temi che riguardano le loro vite?
Gotor Lo spieghi con l’azione di un partito strutturato nel territorio nazionale, una felice anomalia del Pd. Alla fine di questa fase politica lunga e difficile il Pd si ritrova ad essere l’unico partito non personale, che ha un'ambizione e un raggio d’azione nazionali. L’elettorato italiano se ne rende conto. Perché non è fatto solo dai mobilitati, dai consapevoli, dai ceti medi riflessivi che costituiscono opinione pubblica. L’elettorato italiano sono decine di milioni di persone e di voti che si conquistano nella misura in cui il Pd è in grado di esercitare una funzione egemone. E la esercita se l’elettorato comprende che il Pd stesso può essere il perno di una rinascita italiana. La vocazione maggioritaria non è in contraddizione con le alleanze larghe. Il tutto per un’alternativa il più possibile condivisa che consenta a questo paese di rimettersi in marcia.
Il Mese Berlusconi permettendo…
Gotor Ma la parabola declinante di Berlusconi è evidente a tutti, solo che il Cavaliere sta trascinando il paese in un pozzo senza fondo. Per questo bisogna opporgli un’alleanza repubblicana, costituzionale e un risveglio civile che rompa la contrapposizione partiti-società civile e allarghi il quadro delle alleanze in base a un principio di coesione nazionale. Mettiamoci insieme e ricostruiamo l’Italia. Poi avremo tempo per dividerci, ma se non lo facciamo rischiamo che l'uscita di scena di Berlusconi si risolva con una soluzione a destra. Inoltre ho la sensazione che questa situazione di stallo durerà a lungo. Perché un Berlusconi debole conviene a tanti. Non siamo solo "noi" e "loro". Ci sono tante forze, istituzionali, paraistituzionali, economiche, imprenditoriali, alle quali lo sfizio di un Cavaliere umiliato ma in sella, e ricattabile, appare come un’occasione impagabile. Tra l'altro, siamo sicuri che all'estero non preferiscano la caricatura berlusconiana del nostro paese a un'Italia degna del suo ruolo e della sua forza?
Il Mese Torniamo al centrosinistra. Una scelta non leaderistica può aiutare a cementarlo?
Gotor Assolutamente sì. L’altro caposaldo di quest’azione è il rapporto con la società civile. In questo senso Bersani, non tatticamente ma per scelta e vocazione, ha interpretato il suo ruolo in una forma rispettosa, che simbolicamente ha assunto l’immagine di lui che il giorno in cui Pisapia concludeva la campagna elettorale era sotto al palco, non sul palco, perché sceglieva politicamente con saggezza una posizione di ascolto e di rapporto col candidato milanese. È un rapporto con la società civile che non si deve impostare sui due binari del ventennio trascorso: o quello della contrapposizione, o quello dell’autosufficienza, sia dei partiti, sia della società civile. Se facciamo un bilancio, questa stagione ha coinciso col periodo qualitativamente più povero della democrazia italiana. I partiti da soli o contro la società civile non ce la fanno a riformarsi, ma la società civile da sola o contro i partiti ha delle espressioni che poi non riescono a trasformarsi in un consenso stabile. Una delle novità del Pd è questo tentativo di aprire un dialogo: due gambe che camminano insieme per superare nella stessa direzione Berlusconi. Finora questo non è avvenuto anche perché ci sono piccoli o grandi interessi editoriali che sulla cultura della contrapposizione tra partiti e società civile hanno costruito fortune culturali ed economiche.
Il Mese A chi si riferisce?
Gotor A case editrici come Chiarelettere, a esperienze giornalistiche originali come quelle del «Fatto». Tutte esperienze culturali apprezzabili per la loro energia. Però sono attaccate al berlusconismo nella misura in cui sono antiberlusconiane. Sono fondate sull’etica e sul principio della contrapposizione, ma rispondono a interessi che hanno un orizzonte minoritario. Prima o poi si dovranno porre il problema di come fare buon giornalismo e buona editoria a prescindere dalla caduta del sovrano.
Il Mese Va bene. L'antipolitica non basta. Anche se viene da sinistra. Partiti e società civile (l'associazionismo, le organizzazioni) devono tornare a parlarsi. La vittoria di Pisapia a Milano ne è stato un buon esempio. I partiti però, in questi anni, non solo hanno conservato chiusure e forme di controllo e potere, ma si sono anche disgregati in clientelismi territoriali. Sono insomma nello stesso tempo molto chiusi e fin troppo aperti agli interessi esterni. Ed è un problema che riguarda anche il Pd. Come si fa ad assegnare al Pd il timone del risveglio civile?
Gotor Rispondo con una domanda: cosa accomuna un partito a una associazione? La volontarietà. Un partito è una macchina che si regge su una cosa che si chiama volontariato, che ha una sua gratuità di impegno. Il Pd si sta ponendo la sfida di rinnovare le sue forme dello stare insieme come partito e di aprirsi all’esterno il più possibile. È un percorso non semplice e ha delle resistenze, ma è un prerequisito. La società civile, venendo al nodo del rapporto con le clientele, non è una formula magica positiva. Purtroppo la società civile italiana conosce anche sacche profonde di comportamenti corporativi, particolaristici e persino criminali. Non credo che ci sia una società civile capace da sola di riformare i partiti. I partiti il male, la società il bene? Mi sembra una lettura parziale. Bisogna piuttosto distinguere, discernere criticamente il positivo nella società civile e nei partiti e cucire insieme le cose positive. Ma facciamo in modo che cattivi partiti e cattive società civili lascino il campo. Dietro l’ideologia della casta c’è un pensiero nocivo: "Rubano tutti, rubano in quanto partiti e politica". La conseguenza è: se tutti rubano, nessuno ruba. Giocando su questa svalutazione della politica Berlusconi è entrato come nel burro nel '94, quando "scese in campo". Andate a rivedere i dibattiti del '94 su YouTube. Andate a vedere il servizio di un giovanissimo Pionati che presenta la nuova Forza Italia al popolo degli spettatori del TG1. Da questi materiali si capisce che Berlusconi ha ottenuto il consenso degli italiani proprio partendo dalla svalutazione della politica - l'imprenditore contro i "ladri" - e tutta la sua parabola si è costruita su questo. La stessa uscita di scena di Berlusconi si gioca sulla riduzione ai minimi termini del Parlamento, sullo sfregio massimo alla politica simboleggiato da questa legge elettorale che non ha garantito neppure la stabilità e ha annullato una dialettica tra maggioranza parlamentare ed esecutivo che c’è sempre stata, anche nei peggiori momenti della vita democratica italiana.
Il Mese Berlusconi sostituì la politica tradizionale sfruttandone la fragilità, dopo Tangentopoli. Cosa le ha insegnato occuparsi di un'altra fase di estrema fragilità della politica italiana, gli anni che culminarono nel rapimento e nell'omicidio di Aldo Moro?
Gotor Condurre questi studi porta inevitabilmente a riflettere sulla macchina del potere italiano e sul suo funzionamento. Uno degli assi portanti del libro sul Memoriale Moro è la dicotomia tra potere e politica. A ben guardare in una democrazia la politica rappresenta la parte più debole del potere, quella visibile che deve comunque esporsi periodicamente alle regole del consenso e del voto. In Italia abbiamo la tendenza ad avere una politica debole e dei poteri forti che pretendono di condizionarla. A me interessa comprendere per quali ragioni nel nostro Paese la politica è perennemente sotto scacco: fragile e, al tempo stesso, ipertrofica finisce per occupare dei terreni che non riesce però a conquistare. Certo, ci sono anche responsabilità della politica nel determinare questa situazione, ma ho l'impressione che questa sia una risposta semplicistica e tautologica. Sta di fatto che in questa condizione di debolezza s'innesta e si alimenta il dualismo tra partiti e società civile, la dialettica tra politica e antipolitica. Una politica autorevole saprebbe recepire e interpretare le istanze della società civile e magari assorbirne la conflittualità. In Italia ciò non avviene anche perché la macchina del potere sviluppa un rapporto autonomo e diretto, frammentato e molecolare con la società civile: le cricche, le consorterie sono anch’esse espressione di una società che si autorganizza senza mediazioni. E quando dico potere, intendo i militari, i servizi segreti, gli imprenditori, il clero, la massoneria, le corporazioni, gli apparati bucrocratici, i sindacati, il giornalismo. Una caratteristica di lungo periodo sulla quale il potere italiano ha puntato le sue carte è stata la supplenza: della magistratura, dei tecnocrati, della Banca d’Italia. Ci sono settori che auspicano la debolezza della politica e la risolvono o nella contrapposizione politica/antipolitica o nella supplenza. Ma questa non mi sembra più un’opzione sufficiente a risolvere l'equazione italiana e far uscire il paese dalla crisi, anzi è la ragione principale che ci ha portato sin qui. E non possiamo uscire dal berlusconismo con un Berlusconi in piccolo, né con nuove supplenze, recitando vecchi copioni.
Il Mese E quando se ne sarà andato, la potremo chiamare Italia berlusconiana? Lo spessore dell'uomo, il corpo di leggi e normative promulgato nei suoi anni, il modello sociale scelto consentiranno agli storici di assegnare il nome di Berlusconi a quest'epoca che si chiude, così come accadde per l'Italia crispina o giolittiana?
Gotor Quando gli storici racconteranno questo ventennio non ho dubbi che verrà utilizzata la formula dell’Italia berlusconiana. Perché se è vero che c’è stata l’alternanza, importante elemento di novità nella storia unitaria, l’egemonia è stata però certamente di Berlusconi e della sua capacità di costruire un referendum permanente sulla sua persona. C’è però un dato clamoroso: Berlusconi negli anni 90 ha governato 6 mesi: dall'aprile al dicembre del 1994. Nel decennio 2001-2011, invece, ha governato otto anni su dieci. Quando parleremo di età berlusconiana dovremo tenere bene a mente questo dato: nel primo decennio Berlusconi ha governato troppo poco rispetto alla qualità (non solo alla quantità) dei voti che ebbe e allo stato di salute della sua proposta politica. È come un vaccino che non si è espresso. E invece ha governato troppo nel periodo calante della sua azione politica, nella fase della stanchezza e della difficoltà. E adesso ci ritroviamo, anche grazie alla legge elettorale, con l'asse Pdl-Lega che tiene in mano il paese pur essendo minoranza, visto che non va oltre il 37-38 per cento.
Il Mese C'è un aspetto che segna il volto torbido dell'Italia berlusconiana: dalla P2 alle trame di Bisignani. Una sorta di doppio Stato analogo a quello emerso dalle sue monografie su Moro?
Gotor Non sono un sostenitore della formula del doppio Stato. Per quanto riguarda il periodo che ho studiato preferisco il concetto di doppia lealtà, del quale siamo sempre debitori a Franco De Felice. Ossia una tensione tra campi di fiducia e di fedeltà nazionali e internazionali che metteva in discussione tante appartenenze. Non vedo un doppio Stato nella cosiddetta P4: vedo un'attitudine alla cricca e ai legami privatistici che non riesce a farsi Stato e punta sulla trama condizionante dei rapporti personali e sull'arma del ricatto. In Italia abbiamo difficoltà a fare uno Stato, figuriamoci se riusciamo a farne due. Credo invece che valga ancora la riflessione di Gramsci sul fascismo: c’è una disponibilità al sovversivismo delle classi dirigenti italiane. Gramsci descrive una correlazione tra il sovversivismo dall’alto e il sovversivismo popolare. E questa correlazione è il sintomo di una difficoltà cronica dell’Italia a farsi Stato e ad affermare la sovranità della legge. È sintomatico che sia stato il conflitto d’interessi a caratterizzare l’egemonia di Berlusconi.
Il Mese Bersani, Fini, Casini, Montezemolo, lo stesso Vendola. Dai 50 in su. Vogliamo parlare della questione generazionale? Chi ha 30-40 anni è maturo per governare questo paese o dobbiamo lasciarlo in mano ai "vecchietti" ancora per un po'?
Gotor La gerontocrazia è un problema, ma io ho una visione abbastanza agonistica, non credo alla cooptazione. Non ci si può illudere che basta aspettare e un giorno i vecchi ti cederanno lo spazio e lo scettro del comando. Bisogna prendersi quello spazio se si hanno forze ed energie. Significa sviluppare una qualche forma di conflittualità. L’attuale classe dirigente italiana è emersa alla metà degli anni 80 lottando contro dirigenti più vecchi. Fini, Casini, Veltroni, D’Alema avevano poco più di trent'anni all'epoca. Questa in fondo è una lezione. Un giovane non si afferma in nome del rinnovamento generazionale. Si afferma se ha buone idee.