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È il simbolo dell’innovazione, oltre che il fondamento delle tecnologie delle comunicazioni e dell’informazione, i cui prodotti a base di silicio (tablet, smartphone, auto, elettrodomestici) sono il fondamento della società moderna, concepiti per portare un contributo nuovo e positivo alla vita delle persone. Il settore è quello della microelettronica italiana, in grosse difficoltà negli ultimi anni, soprattutto per l’assenza di politiche pubbliche, ma per il momento ancora capace di resistere in termini di qualità dell’occupazione, di spesa in ricerca e sviluppo e di mantenimento della filiera produttiva. Questo, malgrado la forte competizione subita da aziende statunitensi e dell’Estremo Oriente, e a differenza di tante imprese dell’Ict, che negli ultimi quindici anni hanno visto una forte riduzione degli investimenti, insieme a un impoverimento della qualità della produzione.
Il convegno nazionale di Fiom, Fim e Uilm
Di recente, Fiom, Fim e Uilm hanno organizzato un’iniziativa pubblica in materia (‘Microelettronica: tecnologia abilitante per un lavoro di qualità. Quali prospettive in Italia e in Europa?’, Roma, 2 luglio, Centro congressi Cavour), che ha visto la partecipazione di sindacalisti, parlamentari, esperti, delegati e delegate di aziende del comparto. “La microelettronica è d’importanza fondamentale per lo sviluppo qualificato del comparto industriale ad alta tecnologia e per le prospettive del manifatturiero del nostro Paese – afferma Roberta Turi, della segreteria nazionale Fiom –. La presenza di realtà eccellenti come StMicroelectronics, Micron e LFoundry, ognuna con le proprie caratteristiche, opportunità e criticità, dimostra che il settore può e deve diventare strategico per l’economia. Perciò, abbiamo ritenuto necessario organizzare un convegno di approfondimento, proprio perché crediamo che da noi non ci sia sufficiente consapevolezza dell’importanza di un settore così innovativo, che produce tecnologie che ritroviamo in tutti gli oggetti quotidiani di uso comune. I prodotti della microelettronica offrono esperienze multimediali sempre e ovunque, a casa come in macchina o in movimento; possono migliorare l’efficienza energetica o fornire componenti essenziali per le applicazioni emergenti nel campo della salute e del benessere; oppure sviluppare soluzioni per dispositivi indossabili e piattaforme di connettività nell’ambito di internet, e via dicendo”.
Il tavolo negoziale, un’occasione mancata
Su richiesta delle organizzazioni sindacali, nel 2013 il governo ha avviato un tavolo negoziale. Il confronto avrebbe dovuto produrre un documento strategico, il cui obiettivo fosse un percorso di sviluppo del settore, migliorando l’utilizzo degli strumenti disponibili, sia per rendere efficaci tutti i sistemi di controllo, che attraverso il mantenimento della filiera. “In realtà – rileva Turi –, di quel documento strategico non abbiamo mai visto traccia, e il tavolo è stato convocato una prima volta sotto il Governo Monti, e da allora, nell’arco di tre esecutivi, si sono svolti solo altri quattro incontri, l’ultimo nel settembre dell’anno scorso. Poi, più nulla”.
Le tre sigle chiedono il riavvio del negoziato, che necessita di un nuovo impulso per arrivare a definire linee di indirizzo e di sostegno, e anche favorire il rilancio del piano d’investimento tecnologico, così da assicurare prospettive e un futuro all’industria del paese. “Nell’ultimo rendez-vous al ministero dello Sviluppo economico – commenta Turi – , si era parlato di una fase esecutiva per attivare politiche pubbliche d’intervento a favore del settore e dell’occupazione. Le stiamo ancora aspettando”.
Secondo i sindacati, le linee guida su cui muoversi devono prevedere il rilancio della competitività sul mercato globale; il riconoscimento del settore in Italia quale comparto prioritario, in accordo con l’Ue; nuove iniziative strategiche d’intervento nel settore industriale della microelettronica; tre principali aree d’interesse per il comparto dei componenti microelettronici: ricerca tecnologica, di prodotto e produzione; linee pilota di sviluppo per accelerare il processo d’innovazione e mantenere allineata la capacità manifatturiera in Italia con la competizione internazionale; investire sulle più recenti tecnologie, integrando su una stessa piastrina di silicio le nuove funzioni; individuare le filiere applicative strategiche di ricaduta industriale per il settore; esercitare ruoli di coordinamento attraverso l’agenzia di coesione territoriale e verificare che le regioni esprimano il proprio impegno; definire uno spazio per operazioni di start up per arricchire il tessuto industriale.
Micron: vendesi ingegneri, matematici e informatici
La vertenza più recente del settore riguarda la Micron, la compagnia americana presente in Italia con cinque sedi (Agrate, Vimercate, Avezzano, Napoli e Catania). Dopo essere diventata proprietaria di tecnologie, brevetti, impianti e capitale umano nel nostro paese, e aver fatto affari anche attraverso i prodotti e i clienti derivanti dall’acquisizione di Numonyx (2010), all’inizio del 2014 ha aperto una procedura di licenziamento per 419 dipendenti, su un totale di 1.070.
I sindacati contestano tale decisione, perché gli esuberi in questione interessano un numero ingente di competenze altamente specializzate, come ingegneri, tecnici e ricercatori, di un gruppo che fa ricavi da record e non mostra previsioni di decrescita, nel pur complesso mercato della microelettronica più avanzata. Il 10 aprile dello stesso anno arriva l’accordo tra azienda e sindacati presso il ministero del Lavoro, che viene poi approvato a maggioranza dai lavoratori. Fiom, Fim e Uilm plaudono all’intesa, che non risolve tutti i problemi, ma scongiura i licenziamenti, mediante una cabina di monitoraggio composta dai dicasteri del Lavoro e del Mise e dalle istituzioni territoriali. Un anno dopo, il quadro è il seguente: 85 esuberi sono stati riassorbiti in Micron Italia nello loro stessa sede; un’altra sessantina hanno accettato una ricollocazione in una sede differente, soprattutto all’estero (Germania, Gran Bretagna, Usa); 174 assunzioni, poi, sono state effettuate da StMicroelectronics, selezionate all’interno degli esuberi; 91, invece, hanno accettato un incentivo all’esodo e si sono licenziati volontariamente nei siti di Agrate e Vimercate.
Proprio il 13 luglio si è finalmente conclusa la vertenza con la ricollocazione interna delle ultime 12 persone in eccedenza (di cui 11 appartenenti alla sede di Agrate-Vimercate, per le quali a maggio era stata aperta la mobilità). L'annuncio dell'azienda ai sindacati ha anticipato di qualche giorno il probabile incontro del 21 luglio al Mise, nel quale si potrebbe arrivare alla sottoscrizione di un accordo con il governo e Fiom, Fim e Uilm. "La ristrutturazione di Micron - fa sapere il management della multinazionale americana - ha consentito di passare da 419 a zero esuberi potenziali attraverso un percorso condiviso dai vari soggetti coinvolti, e tutte le persone riprenderanno il lavoro alla fine della cigs, ossia dopo il 20 luglio". Da sottolineare, inoltre, i risultati da record conseguiti dagli statunitensi nell’ultimo anno: un fatturato superiore a 12 miliardi di dollari, con un utile di 3,75 miliardi. “Numeri da capogiro – per le sigle dei metalmeccanici –, quasi decuplicati rispetto al 2010, che fanno di Micron una delle più potenti società al mondo”.
Ict: la situazione in Europa
Il 21 maggio scorso si è svolto a Helsinki un meeting organizzato da Industriall Europe, la federazione dei sindacati dell’industria di tutti i paesi europei, per discutere dello stato del settore dell’Information and communication technology. Secondo uno studio presentato in quell’occasione, Italia, Spagna e Irlanda sono i paesi che hanno perso più occupazione dal 2007 ad oggi, mentre la Germania è lo Stato che ha retto meglio i colpi della crisi e ha visto un limitato calo di posti di lavoro.
Più in generale, in Europa la microelettronica continua a perdere terreno rispetto ad Asia e Usa, nonostante il valore di mercato dell’Ict sia in crescita costante: 3.625 miliardi lo scorso anno, che raggiungeranno i 4.000 nel 2017. Il trend europeo è esattamente opposto a quello di Estremo Oriente e Stati Uniti: le imprese manifatturiere dell’Ue hanno visto la perdita dii 250.000 unità (-16%) nell’arco degli ultimi sei anni; oggi la Germania è il paese con più lavoratori impiegati, seguito da Francia, che ha la metà esatta, Regno Unito e Italia.
Quali le cause dei mutamenti di mercato a livello globale? La struttura del tessuto industriale e la capacità d’innovazione sono elementi-chiave dell’Ict. “Non deve quindi soprendere - rileva lo studio dell’istituto di ricerca Syndex -, che paesi leader come Corea del Sud e Giappone, investano in ricerca e sviluppo una cifra pari a più del 3% del Pil, mentre Usa e Germania vanno oltre il 2 e l’Italia si ferma all’1, risultando così il fanalino di coda dell’area Ocse. Altri fattori di dinamismo sono la concentrazione di imprese Ict nei distretti industriali e un tessuto di piccole e medie realtà produttive, come accade in Germania”.
Anche il tema dell’uso e dell’accesso all’Ict vede enormi differenze tra i paesi del Nord Europa, in sviluppo avanzato, e i paesi del Sud Est, molto più indietro rispetto a diversi indicatori. “L’Italia è il Paese che spende meno in assoluto rispetto al proprio Pil – conclude Turi –. Ciò ha portato a una situazione paradossale, , in cui ci sono stati tagli enormi al personale del settore, ma gli specialisti continuano ad essere scarsi. Ci sono tante cose che dovremmo fare e non facciamo. L’Asia è in grado di competere su qualità e innovazione, e non più solo sul costo del lavoro, grazie agli ingenti finanziamenti in istruzione e ricerca. Le stesse aziende private, come il colosso cinese delle tlc Huawei, investono parte consistente del loro fatturato in R&S. In questi paesi, poi, c’è un ruolo delle banche, che concedono finanziamenti a lungo termine che in Italia non esiste. La China development bank, ad esempio, sta investendo miliardi nelle nuove stelle dell’high tech”.