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In occasione dell’uscita del volume “Mi ricordo e canto” di Giulia Giannini, in coedizione fra Ediesse e Liberetà, abbiamo ritenuto opportuno protrarre al 30 giugno 2019 la scadenza del concorso per la più bella canzone degli anni 1968-1970. Il libro contiene infatti un’importante raccolta di canti legati al lavoro e alle lotte cui attingere per la propria scelta personale. Raccomandiamo a tutti i partecipanti di voler seguire le norme previste dal regolamento, pena una spiacevole esclusione di proposte di canzoni non coerenti con lo spirito del concorso. Pubblichiamo qui di seguito uno stralcio dell’introduzione del libro a cura della stessa autrice.
(…) Era il 1951. E da lì è partito un grande movimento-laboratorio di studi e ricerche demologiche, etno-musicologiche, di nuova storiografia, che ha portato alla raccolta sul campo di materiali di canto sociale, politico, di storia orale, e alla divulgazione, alla diffusione dei risultati attraverso spettacoli, libri e dischi. Un progetto in cui i portatori di cultura popolare furono finalmente essi stessi protagonisti, in cui il folklore tradizionale venne interpretato con una nuova consapevolezza e assieme al folklore progressivo entrò a far parte della vita culturale nazionale . Tra il 1954 e il 1955 Alan Lomax, studioso di folklore musicale americano, attraversò l’Italia insieme all’etnomusicologo Diego Carpitella, che già aveva un ruolo centrale presso il Centro nazionale di studi di Musica popolare di Roma (fondato nel 1950), oltre ad aver partecipato alle spedizioni di ricerca del demologo e storico delle religioni Ernesto de Martino: grazie ad una poderosa campagna di rilevamento formarono la prima raccolta di materiali musicali popolari italiani, pubblicati in disco, diffusi attraverso trasmissioni radiofoniche, che dette l’avvio ad uno studio sistematico e scientifico del repertorio musicale di tradizione orale in Italia: alla moderna etnomusicologia .
Quando il gruppo torinese dei Cantacronache – tra i primi in Italia, dagli anni cinquanta, a credere nella realizzazione di un profondo rinnovamento culturale a partire dal patrimonio musicale popolare – propose nella serie di dischi «Canti di protesta del popolo italiano» del 1960 quelle canzoni sociali antiche, riguardanti fatti storici del passato italiano, che appartenevano alla storia del movimento operaio e contadino, che lontano dai circuiti culturali commerciali erano ancora ricordate e cantate, per molti fu una sorpresa. Fu «... la prova che non è vero che il nostro paese non ha avuto canto politico», come ingenuamente si riteneva in precedenza e «che quel poco che l’intellettuale anche “impegnato” (come allora si diceva) conosce non sono che frammenti e brandelli di un repertorio ben più vasto, profondo, consistente, significante e sostanzialmente “segreto”. Segreto perché rimasto escluso dalle ricerche, dall’attenzione, dall’interesse anche degli storici più politicamente preparati, secondo le regole di una cultura che, a destra come a sinistra, è rimasta accademica, legata alla pagina scritta, al documento d’archivio, alle vicende dei vertici e delle egemonie».
E fu poi nei primi anni sessanta, anni in cui gli operai tornavano in piazza, che si formò attorno a Gianni Bosio e alle Edizioni Avanti! a Milano il gruppo del Nuovo Canzoniere Italiano, grazie al quale in maniera più organica, strutturata e continuativa si sviluppò la ricerca sul canto sociale e politico. Il nome del gruppo si richiamava ai canzonieri sociali e politici dell’Ottocento e alla pubblicazione di Pier Paolo Pasolini sulla poesia popolare . Grazie a loro, allo studio e poi alla riproposta musicale, si scoprirono il repertorio popolare e quei canti che negli anni precedenti al fascismo avevano accompagnato lo sviluppo del movimento operaio. E l’intento di quell’indagine non era solo culturale, ma anche esplicitamente politico: «Vecchi militanti socialisti, ex mondariso, figure irregolari di cantastorie: tutto quel mondo depositario di una memoria che il boom economico (con il suo nuovo corredo di figure sociali) sta ormai cancellando, diviene oggetto di ricerca e di riflessione del Nuovo Canzoniere Italiano con l’esplicito intento di riscoprire la cultura antagonista del mondo popolare» .
Dall’ambito specifico del canto sociale e politico tradizionale, l’interesse del gruppo si allargò a comprendere tutta la comunicazione del mondo popolare e anche la ricerca per una nuova canzone politica. Il Nuovo Canzoniere Italiano, nato come rivista, divenne anche il nome del gruppo di interpretazione musicale impegnato in una intensa attività di esecuzioni pubbliche, concerti e spettacoli, e nell’incisione di numerosi dischi, con l’etichetta Dischi del Sole, nei quali le reinterpretazioni di revival, di cantanti e musicisti non tradizionali, si affiancavano ai documenti originali, frutto delle campagne di ricerca sul campo dei membri del gruppo. Questi ricercatori e studiosi, sulla linea di Gramsci e de Martino, intesero mettere in luce il carattere autonomo e intrinsecamente alternativo e sovversivo della cultura popolare e di classe; costruendo, attraverso la raccolta di quelle voci, una storia collettiva e comune.
Quell’esperienza di una ricerca e riproposta del canto popolare – che trovò in Bosio, ma anche in Roberto Leydi e Cesare Bermani, voci altamente autorevoli – costituisce una peculiarità italiana, come ha osservato Giovanna Marini: «Questo fatto di unire il sociale, quindi anche il politico, alla ricerca e riproposta del canto popolare, è accaduto solo in Italia, fra i paesi europei, e connota tutto il lavoro di quei ricercatori italiani in modo unico e particolarmente attraente per i giovani di tutti i paesi» . È grazie a questi precedenti che si può comprendere il movimento di nuova canzone politica, i canti di lotta degli anni settanta, la sperimentazione di nuove pratiche artistiche musicali, e perfino lo sviluppo di un certo cantautorato. Una rivoluzione culturale che ha agito essenzialmente al di fuori della cultura ufficiale (mancheranno nella presente selezione i brani appartenenti al genere della musica leggera, presentati a Sanremo o pubblicati in dischi di grande successo commerciale), attraverso circuiti di diffusione alternativi a quelli commerciali, di massa, dell’industria culturale.