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Sabato 20 maggio si terrà come ogni anno la commemorazione di Massimo D’Antona, giuslavorista e consigliere del ministero del Lavoro, ucciso in un agguato terroristico il 20 maggio 1999. L’appuntamento è a Roma, alle ore 12, in via Salaria (angolo via Adda), luogo dell’attentato. Saranno presenti cittadini e istituzioni. Previsti gli interventi di Giuliano Amato, giudice costituzionale, del segretario generale della Cgil Susanna Camusso e della ministra Marianna Madia.
Il 20 maggio 1999, alle 8 e 30 circa a Roma, in via Salaria, viene ucciso Massimo D’Antona, giurista e docente universitario di Diritto del lavoro, consulente dell’allora ministro del Lavoro Antonio Bassolino. Poche ore dopo, arriva la rivendicazione: 14 pagine stampate fronte-retro, con la stella a cinque punte delle nuove Brigate Rosse: “La nostra organizzazione – si legge nel comunicato – ha individuato il ruolo politico-operativo svolto da Massimo D’Antona, ne ha identificato la centralità e, in riferimento al legame tra nodi centrali dello scontro e rapporti di forza e politici generali tra le classi, ha rilanciato l’offensiva combattente”.
Dieci giorni dopo, il 1° giugno 1999, Guglielmo Epifani, futuro segretario generale e all’epoca dei fatti numero due della Cgil, scrive su Rassegna Sindacale: “La morte di D’Antona addolora e inquieta tutto il sindacato italiano. Tutti coloro che lo hanno conosciuto hanno avuto modo di apprezzarne le qualità umane e professionali. Era un uomo mite e generoso, che del dialogo e della ricerca di soluzioni aveva fatto la sua filosofia di vita. Enorme è stato il contributo di lavoro che egli ha dato alla nuova generazione di giuslavoristi vicini alla Cgil e altrettanto grande l’apporto di esperienza e capacità assicurato nei vari incarichi istituzionali ricoperti nel corso degli ultimi anni. Una ragione in più per il nostro dolore è costituita dal fatto che D’Antona sia stato colpito proprio nel momento in cui gran parte dei progetti di lavoro cui si era dedicato stavano diventando realtà“.
Nelle parole di Epifani trova subito dopo spazio un riferimento allo “strazio, che avvertiamo vicino, della sua famiglia, della moglie, che per anni ha lavorato con noi nel sindacato degli assicuratori, della figlia. Ma la morte di D’Antona non addolora solamente, dà anche inquietudine. È un assassinio che ci fa tornare di colpo, come se quindici anni fossero passati invano, a un tempo che credevamo di esserci lasciati dietro le spalle. Nelle modalità dell’uccisione, nelle tecniche con cui l’agguato è stato preparato, nel comunicato che rivendica il crimine c’è un forte richiamo alle pagine più oscure degli anni di piombo. Il dolore e l’inquietudine non debbono però impedirci di valutare con razionalità e freddezza le risposte da dare”.
Nel loro comunicato, le Br affermano con lucida follia che con l’uccisione di D’Antona si è voluta colpire la mediazione sociale: “Questo insieme di procedure, di regole, di soggetti – prosegue Epifani – che può essere chiamato in molti modi, patto, concertazione, confronto, che però si traduce, nel sindacato, nella crescita di una cultura che punta alla soluzione dei problemi, facendo prevalere i giudizi di merito sulla discussione ideologica. C’è poi da sottolineare che questo assassinio si colloca in una fase precisa della vita del Paese. Nella rivendicazione dell’attentato, c’è una sottolineatura del filo che legherebbe l’esecutivo a guida Ds e la Cgil, con un attacco esplicito al ruolo della concertazione in questa fase”.
È, a giudizio dell’allora segretario generale aggiunto della Cgil, un attacco assai miope: “Allude a un grande disegno di stabilizzazione cui concorrerebbero i soggetti della politica e quelli della rappresentanza sociale. Ma non è questa la storia che stiamo vivendo. Basta guardare la realtà senza i paraocchi dell’ideologia: politica e rappresentanza sociale, ognuna nella sfera della sua autonomia, cercano, non senza momenti di contrasto vero, di dare una risposta alle domande di cambiamento. E cercano soprattutto di costruire un reticolo di regole nuove, una specie di Costituzione materiale per lo svolgimento della vita sociale e politica del Paese. L’attacco finisce così per essere non tanto alla concertazione quanto a tutti coloro che vogliono nuove regole che consentano poi a chiunque, nell’esercizio della propria rappresentanza politico-sociale, di svolgere il proprio ruolo. Il sindacato deve rispondere in maniera molto forte. Davanti agli assalti alle nostre sedi a Torino e a Milano, e a quelli rivolti contro molte sedi di partito, avevamo avvertito, e sottolineato, il rischio che quel ‘brodo di coltura’ fatto di micro-violenze potesse preparare l’esplosione di una violenza assai più grave”.
La risposta che il sindacato decide di dare al barbaro assassinio di Massimo D’Antona è (“oggi come ieri”) molto ferma. “La manifestazione di sabato 29 a Roma e a Bologna deve essere il segno forte del fatto che non intendiamo restare passivi di fronte al ritorno della violenza – conclude Epifani –, ma chiediamo a lavoratori e pensionati di schierarsi a difesa delle parole d’ordine della difesa della legalità e dello Stato di diritto, contro ogni forma di violenza e il risorgere di un nuovo-vecchio terrorismo. Le prime manifestazioni spontanee e i primi segnali che ci giungono dai posti di lavoro ci dicono che, accanto alla preoccupazione, sta crescendo proprio questa consapevolezza. Ammaestrati dal periodo nero che abbiamo attraversato, e grazie agli anticorpi che abbiamo sviluppato, siamo oggi nelle condizioni di muoverci d’anticipo e combattere questo fenomeno di estremismo e di violenza politica, che non porta da nessuna parte e non produrrà nessun risultato, e che va isolato perché provochi il minor danno possibile alle persone e alla vita del Paese”.
Ma il 20 maggio non è solo la data dell’omicidio D’Antona, è anche quella di una grande conquista sociale e civile, lo Statuto dei lavoratori, che proprio il 20 maggio 1970 diventava legge. “Credo che non ci siano dubbi – affermava lo scorso anno ai microfoni di Rai News il segretario generale della Cgil Susanna Camusso – sul fatto che il pensiero terrorista voleva annullare uno straordinario lavoro di riforma e di attenzione e qualificazione del lavoro che D’Antona stava facendo con quella idea d’inclusione che lo Statuto doveva mantenere, come principio di diritto inespropriabile. E credo che non sia casuale che si sia scelta quella data per assassinare lui e infangare quel lavoro. Il nostro compito è non dimenticare e non permettere che il terrorismo uccida anche il pensiero”.
“Ci sono dei diritti fondamentali nel mercato del lavoro che devono riguardare il lavoratore, non in quanto parte di un qualsiasi rapporto contrattuale, ma in quanto persona che sceglie il lavoro come proprio programma di vita, che si aspetta dal lavoro l’identità, il reddito, la sicurezza, cioè i fattori costitutivi della sua vita e personalità”, scriveva Massimo D’Antona poco prima di morire: un messaggio di estrema attualità, che richiama i valori e le ragioni di fondo della Carta dei diritti universali del lavoro, puntando a un diritto del lavoro (e al lavoro) dell’essere e non solo dell’avere, in intima connessione con i principi di dignità e solidarietà espressi dall’articolo 2 della Costituzione e in omaggio alla funzione propulsiva del principio di uguaglianza sostanziale, scolpito dal secondo comma dell’articolo 3.
Ilaria Romeo è responsabile Archivio storico Cgil nazionale