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Paletti ben piantati, nessuno smantellamento del contratto nazionale e strada sbarrata sull’ipotesi del salario minimo per legge, che “finirebbe per abbassare le buste paga di milioni di lavoratori”. Franco Martini, segretario confederale Cgil, intervistato da QN spiega quali sono i contenuti e quali i confini della proposta unitaria che Cgil Cisl e Uil intendono presentare a tutto il mondo delle imprese, a partire da Confindustria, Confcommercio, Confservizi e Alleanza Cooperativa.
“Vogliamo delineare un nuovo sistema di relazioni industriali – spiega Martini – rilanciando il ruolo delle parti sociali che il governo vorrebbe relegare in un angolo”. Tre i pilastri, indicati da Martini, su cui costruire questo progetto: contrattazione, partecipazione e regole su cui basare quest’ultima.
Martini si sofferma poi sulla questione produttività: “È un tema che affrontiamo – spiega a QN – perché la ripresa si aggancia solo se aumentiamo il valore aggiunto dei beni e dei servizi prodotti”. Ma per il segretario Cgil deve essere chiaro che “il sindacato si occupa da sempre di produttività”, elemento presente “in tutti gli accordi integrativi”. Il fatto però, secondo il sindacalista, è che la produttività in Italia non dipende solo dall’organizzazione del lavoro, ma piuttosto da “una burocrazia elefantiaca”, così come dalla “mancanza di investimenti in infrastrutture e in innovazione”.
Alla domanda del cronista sul rischio di un superamento del contratto nazionale Martini replica così: “La nostra proposta vuole proprio impedirlo”, visto che “l’80% del mondo del lavoro non ha contrattazione aziendale”. Quindi, secondo il segretario Cgil, “è inimmaginabile depotenziare la cornice nazionale, perché si rischia di condannare milioni di lavoratori a bassi salari”.
Stessa ragione per cui il sindacato resta contrario all’introduzione di un salario minimo per legge: “Ci sono già i minimi contrattuali – spiega Martini – basterebbe applicare l’articolo 39 della Costituzione con l’erga omnes. Il rischio altrimenti è di fissare una cifra minima ancora più bassa in un momento in cui bisogna rilanciare i consumi. Sarebbe una contraddizione”.
La chiusura dell’intervista è dedicata all’ipotesi di “modello tedesco”. Per Martini ci sono “elementi interessanti”, ma si tratta di un modello applicabile solo alle imprese più grandi, nelle quali può essere riprodotto anche da noi. “Ma abbiamo il dovere – conclude il segretario Cgil – di inventarci una via italiana”.