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"Nove milioni di lavoratori sono attualmente senza contratto. È la fotografia nitida di una situazione straordinaria e problematica. La stragrande maggioranza degli addetti in attesa di rinnovo appartengono a settori che vivono un impatto molto duro con la crisi e i processi di trasformazione. Quindi, la cifra totale comprende l'andamento fisiologico delle scadenze contrattuali, ma anche il dato eccezionale della crisi che impedisce il rinnovo in tanti comparti". Così Franco Martini, segretario confederale della Cgil, stamattina ai microfoni di Italia Parla, la rubrica quotidiana di RadioArticolo1 (ascolta il podcast integrale).
"Nell'elenco non sono compresi i tre milioni di lavoratori della pubblica amministrazione che aspettano il rinnovo contrattuale nel pubblico impiego. Ciò, implica il fatto che lo stato imprenditore ha deciso di ridurre la spesa destinata al lavoro pubblico. Il fatto è grave, non solo perché da sei anni gli stipendi di quei dipendenti sono bloccati e quindi il loro potere di acquisto si è eroso, ma il blocco della contrattazione nei settori pubblici significa anche rinunciare alla contrattazione come una leva strategica per affrontare positivamente i processi di riforma della pubblica amministrazione. Se il governo pensa di riformare la Pa senza coinvolgere il lavoro, anzi contro il lavoro, è chiaro che non andremo da nessuna parte", ha sostenuto il dirigente sindacale.
"Per quanto riguarda il privato, il settore più penalizzato è quello del terziario, dove la recessione morde più che altrove. In particolare, il mondo della grande distribuzione, comparto con la quota più rilevante di addetti, sta vivendo la prima vera crisi dal dopoguerra. La caduta del potere di acquisto, l'erosione dei redditi da lavoro e da pensione non può che produrre un automatico indebolimento, se non crollo, dei consumi ed è ovvio che le imprese coinvolte non possono più recuperare margini per redistribuire, attraverso la contrattazione, processi di qualificazione e premialità al lavoro, ha aggiunto Martini.
"Nell'ambito di tutte le vertenze contrattuali in atto, c'è anche una partita, per così dire politica, che vuole diminuire il ruolo dei sindacati e quindi della contrattazione nazionale. È del tutto evidente che a forza di alimentare campagne contro la funzione dei corpi intermedi e la rappresentanza, soprattutto del mondo del lavoro, il sindacato viene interpretato come un intralcio ai processi di riorganizzazione dei settori produttivi. Questo è un grave errore, perché laddove si è cercato di emarginare il valore del lavoro si è assistito al peggioramento delle condizioni dei lavoratori e delle prospettive di interi settori: non c'è crescita senza la valorizzazione del capitale principale dell'impresa, la risorsa lavoro", ha rilevato ancora l'esponente della Cgil.
"Altro fenomeno eclatante ai tavoli negoziali, il fatto che in alcuni settori i datori d lavoro chiedano addirittura la restituzione di aumenti già erogati con la contrattazione in scadenza. Questo sicuramente è un effetto matematico del ciclo economico che viviamo, ma il vero problema è un altro. Per sua natura, la contrattazione è un processo di redistribuzione della ricchezza prodotta nelle aziende; il punto non è confliggere con la controparte sulla eventuale restituzione o meno del valore economico di stipendi e salari, ma tornare a produrre nuovamente ricchezza all'interno dei settori. Mai, come in questa circostanza, il rinnovo dei contratti è stato così legato allo sviluppo. Se ciò non avviene, è difficile immaginare una contrattazione positiva. Ecco perché le critiche principali che facciamo al governo non sono solo relative alla riforma del mercato del lavoro, ma anche e soprattutto a una manovra economica che non prevede crescita per i prossimi quattro anni", ha osservato Martini.
In merito alle prossime iniziative sindacali da avviare, il segretario confederale ha anticipato: "Sulla riforma del mercato del lavoro, tenteremo fino all'ultimo minuto di condizionare la scrittura dei decreti delegati, provando ancora a impedire questa deriva che è veramente inquietante anche nel modo in cui si è sviluppata, perché spesso alcune novità le abbiamo scoperte aprendo i giornali: questo, alla faccia del coinvolgimento del Parlamento e dei suoi organi che dovrebbero elaborare le proposte. Di sicuro, proseguirà la mobilitazione: in queste ore abbiamo contatti con la Uil per decidere come dare continuità alle nostre iniziative, provando anche a recuperare il rapporto con la Cisl che non abbiamo avuto fino a oggi. La battaglia si sposterà in particolar modo nei luoghi di lavoro. Se qualcuno pensa che con il Jobs act si possano condizionare i rapporti di forza all'interno delle aziende sbaglia i propri calcoli. Lanceremo un progetto innovativo di contrattazione per mantenere e riconquistare nei luoghi di lavoro tutti quei diritti che la riforma sbagliata del governo tenta di sottrarre".
Infine, la tragedia di Charlie Hebdo. "La Cgil ha preso immediatamente posizione scendendo in piazza con la fiaccolata in segno di solidarietà con le vittime, che erano quasi tutti lavoratrici e lavoratori dell'informazione, e quindi per difendere soprattutto la libertà di stampa che i giornalisti debbono poter esercitare. A chi ci critica perchè siamo intervenuti e sostiene che il sindacato debba occuparsi solo di problemi del mondo del lavoro, rispondiamo che questa è una visione inquietante, perché ridurre il nostro ruolo a una funzione meramente aziendale, oltretutto circoscritta nei limiti entro cui lo si vorrebbe fare con le riforme in atto, vuol dire disperdere e non investire sulla forza primaria del sindacato confederale: il grande contributo che ha dato, dal dopoguerra ad oggi, per sostenere i processi di avvio e consolidamento della democrazia e dell'economia nel nostro Paese, affermando l'emancipazione della società e dei lavoratori. Nel prendere posizione, facciamo proprio il nostro mestiere, in un'epoca in cui rinchiudersi nei propri confini significa non capire cosa sta accadendo nel mondo. Da una parte, condanniamo l'attentato, perché è una sfida alla democrazia e al progresso; dall'altra, dobbiamo sconfiggere il terrorismo, affermando l'idea di una società libera e democratica, dove tutti possano esprimere quello che pensano, ribadendo il nostro no a ogni forma di strumentalizzazione contro l'integrazione dei migranti, riemersa purtroppo nelle ultime ore, dopo la strage di Parigi. Al contrario, dobbiamo intensificare i rapporti con le diverse comunità presenti in Italia. La sfida si vince con il dialogo tra culture diverse, perchè la diversità è sempre stata una risorsa. Per questo, va valorizzarla", ha concluso Martini.